giovedì 30 aprile 2015

LIBERIAMOCI DA QUELLE BANDE DI TRAFFICANTI CHE GOVERNANO UNO STATO LIBERATO DAI NOSTRI PADRI


"Anche dopo la Risurrezione di Gesù, le croci non sono diminuite, anzi la cattiveria umana, allergica all’amore, le ha moltiplicate. Ed ecco allora la vergogna della tortura a Genova nel 2001 e tuttora in Italia e in altre parti del mondo, contro credenti e innocenti. Io a Genova c’ero, vicino a don Andrea Gallo; travolti dalla massa, qualcosa di quel dramma abbiamo potuto vedere e constatare: quando c’è di mezzo il potere in divisa, non è mai colpa di nessuno, non è stato nessuno. Un’altra croce innalzata è l’odio contro i diversi, i rom in modo particolare. Anche la politica diventa ferocia e fa dire a un politico razzista: «Occorre radere al suolo tutti i campi rom». Ci si dimentica, per propaganda stupida e assurda, che 4 rom su 5 vivono in regolari abitazioni, studiano e lavorano come tutti. Ma alcuni rubano! Quanti Italiani lo fanno: è lo sport più praticato da dirigenti di azienda, da politici, da mafiosi e da tanti disonesti".


Per ricordare e onorare il settantesimo anniversario della Liberazione dall'oppressione nazifascista, prendo a prestito, questa settimana, questa bella descrizione di questa nostra Italia attinta dalla domenicale omelia del nostro Luciano Scaccaglia, che, per quanto ne so io, è rimasto per tutti questi anni fedele a quegli ideali di libertà. di democrazia e di fratellanza che ci consegnarono - con un ideale passaggio di testimone -  i nostri padri che allora rischiarono la vita per affidarci uno Stato e una società fondata su quei valori universali.


E mentre scrivo queste righe mi riallaccio anche alle parole del giornalista del Corriere Aldo Cazzullo che, presentando l'altra sera  un suo libro sulla Resistenza in un salotto televisivo, ha detto  con rabbia: "E' una vergogna un' Italia come questa che ha tradito la lotta e il sangue versato da quegli eroi che settant'anni fa ci hanno liberati dai nazifascisti".
Anch'io, cari lettori, mi vergogno di vivere in uno Stato come questo che quegli eroi della Resistenza, quegli angeli della libertà, ci avevano consegnato pulito e depurato col loro sacrificio e  col loro sangue.
Mi vergogno e chiedo perdono a quelle centinaia di migliaia di uomini e donne, che donarono alcuni degli anni più belli della loro giovinezza, per non essere riuscito ad impedire che si impadronissero di quelle loro conquiste bande di politici criminali col doppio petto e col colletto bianco che piano piano, quatti quatti, poco alla volta, un pezzetto al giorno, sono riusciti a toglierci quella libertà e quella democrazia conquistata dai nostri padri a caro prezzo.


Settant'anni dopo quel glorioso 25 aprile 1945, ci ritroviamo con una democrazia mutilata, con lo stato sociale smontato pezzo per pezzo  e con libertà fondamentali come quella di espressione proclamate solo sulla carta, sui codici, ma annichilite dentro i tribunali.
Ci ritroviamo a Roma con un dittatoretto da strapazzo - autentica caricatura mussoliniana - salito al potere grazie ad una legge elettorale truffaldina, dichiarata anche formalmente incostituzionale da una manica di giudici di una Corte Costituzionale che hanno impiegato quasi vent'anni per rendersi conto che il porcellum rappresentava un insulto a quei partigiani che avevano combattuto la dittatura nazifascista perché permetteva a un manipolo di capi partito, o, per meglio dire, ad alcuni  capi banda, viste le ruberie  alle quali erano dedite le lroo formazioni politiche corrotte, di nominare deputati e senatori, anziché eleggerli.


Una situazione vergognosa che ci vede in Europa al primo posto della corruzione politico - amministrativa e a uno degli ultimi, nel mondo, nella classifica della libertà di stampa. E questo dittatoretto da strapazzo, che appare ogni minuto del santo giorno in televisione a divulgare il suo verbo, segue a ruota un'altro dittatoretto "democrratico" che in vent'anni di governo ha semplicemente potuto fare i cazzi suoi: leggi ad personam o per i suoi affari, le sue aziende, le sue donne.


E venendo all' orticello parmigiano, vicino a casa, la musica non è cambiata. Qui dalle nostre parti, cari lettori, mi sembra emblematica la storia di due Elvio Ubaldi di Vigatto. Il primo, coetaneo di mio padre, per liberaci ci lasciò le penne ed oggi è uno di quei martiri della Resistenza davanti ai quali tutti noi dobbiamo inchinarci.  Costui lasciò in eredità la libertà e la democrazia conquistata a un altro Elvio Ubaldi da Vigatto, suo nipote. E questi, divenuto sindaco di Parma, dimenticò la retta via tracciata dallo zio e, esibendo doti e propensionii da zar e faraoni, sperperò ingenti quantità di denaro pubblico con opere assurde e inutili come la metropolitana (fortunatamente abortita) e il ponte abitato dai fantasmi a nord sulla Parma.


Settant'anni dopo la Liberazione, quindi, dobbiamo solo vergognarci e chiedere perdono agli eroi della Resistenza per avere permesso, noi, vivi e vegeti, a politicanti di ogni razza, spuntati da ogni dove come funghi, di dilapidare quel patrimonio ideale e politico conquistato in quei giorni contro l'oppressore nazifascista.
E io prima di tutti voglio dire grazie e chiedere perdono a Valentina Guidetti, quella ragazzina che nella foto grande è raffigurata in questa pagina vicino a mio padre e che morì trucidata da pugnalate  nazifasciste dopo essere stata catturata  mentre portava ordini ad altra formazione partigiana. 


NON E' UN PONTE MA UNA NUVOLA DI VETRO CON UNA GRANDE ANIMA

"Giungiamo al termine di un percorso importante e lungo. È' un progetto doppio, perché non solo realizziamo un ponte che serve alla città, ma abbiamo evitato di fare un ponte banale, ne abbiamo voluto uno che sopra avesse funzioni, una moderna rilettura del ponte Vecchio fiorentino. Il progetto è ambizioso: Il centro dovrà divenire l'eccellenza internazionale su tutto ciò che riguarda il cibo italiano; non è quindi una struttura che creiamo solo per Parma o solo per l'Italia. Quando sarà pronto anche il progetto di dettaglio, faremo una grande presentazione agli opinion leader di Parma e non solo. D'ora in poi non si ragionerà più sul 'ponte degli scatoloni', ma su una grande nuvola di vetro, di cristallo con una grande anima".


Se i parmigiani avessero un po' di memoria, o semplicemente leggessero, oltre alla pagina dei morti, anche le altre pagine del foglio mortuario degli industriali di Parma, ricorderebbero le "canelle" (traduzione italiana dal vernacolo locale) e le commediografiche arrampicate sugli specchi che i politici inventano e raccontano loro di volta in volta per giustificare il trasferimento di denaro (detto anche prelievo forzoso gabellare) dalle loro tasche (dei cittadini) a quelle capienti dei cementificatori che hanno vinto (o vinceranno) le gare per costruire  certe mega porcate ed eviterebbero di cascarci una seconda, terza, quarta volta, quando il giochino sporco inevitabilmente si ripeterà.
E la seconda volta (al massimo la terza) si recherebbero sotto  i Portici del Grano, non con le pentole a far chiasso, come accaduto qualche anno fa quando cacciarono Vignali, ma coi forconi urlando: "adesso basta ladroni, stop, ci avete rotto il cazzo".


Andandolo a rileggere in questi giorni, cari lettori, devo dire che quel sermone, perdon, quella "lectio magistralis"  recitata  "urbi et orbi" quel 20 febbraio 2007 dal tanto compianto (dagli industriali di Parma, non certo dai cittadini vittime della sua "città cantiere") per incantare il popolo bue, ha evidenziato le uniche doti  che erano rimaste un po' in ombra del piccolo zar di provincia: Ubaldi era anche un poeta, un sommo poeta, direi.  Quella definizione di "nuvola di vetro con una grande anima" per nobilitare quella schifezza architettonica che poi, purtroppo si è materializzata e ora è sotto gli occhi di tutti, meriterebbe di finire scolpita in una lapide marmorea, con la foto di Elvio, da incorporare alla vetrata d'ingresso del ponte "abitato" (dai fantasmi). A futura memoria di come venivano sputtanati i soldi dei cittadini in quegli anni di fine e inizio secolo, con opere non solo inutili e obbrobriose, ma anche abusive e dannose, al solo scopo di arricchire palazzinari che in questa povera città facevano (e fanno) il bello e il cattivo tempo, grazie ad una classe politica corrotta e a un Tribunale vergognosamente asservito a quegli interessi privati.


Di Elvio Ubaldi erano noti  due complessi esistenziali: non essere riuscito a laurearsi e non essere un parmigano del sasso, ma un "villan rifatto" arrivato a Parma dal vicino paesello di Vigatto. Al primo rimediava facendosi chiamare dottore. Le origini paesane gli bruciavano ancor di più. Al complesso del "paesello", della carente parmigianità doc rimediava con le grandi idee che poi si riversavano nelle grandi opere, finendo per fargli credere veramente di essersi reincarnato nei faraoni egizi.. 
Sì, cari lettori, Elvio pensava in grande e purtroppo per i poveri suoi sudditi non si fermava lì, ma traduceva i suoi pensieri in opere faraoniche di cui sono rimaste tracce indelebili come il maestoso ponte "fallico" (detto anche ponte Ridolini) per passare pochi metri, da una riva all'altra della Parma, a sud della città. Come  la  pantagruelica ciclopedonale per superare  i  cinque o sei metri da un lato all'altro della via Emilia. O come la fortunatamente abortita, grazie a Vignali, metropolitana che il mega cervello di quell'uomo aveva progettato per una città conigliesca, che in pochi anni avrebbe triplicato i suoi abitanti.


E, dulcis in fundo, il nostro obbrobrioso ponte nord. Perdon, quella deliziosa "nuvola di vetro con una grande anima" che in quest'anno di grazia 2015 dell'Expo e del Giubileo - tutto il mondo potrà venire ad ammirare estasiato. E non c'è dubbio che la sua mente partorì questa idea geniale per allargare al mondo una città come Parma che gli stava troppo stretta, pensando proprio all'expo universale di Milano. Doveva essere quello il suo riferimento, quando descriveva l'ambizioso progetto di un manufatto non banale, ma una "moderna rilettura del ponte Vecchio fiorentino". con al centro "l'eccellenza internazionale su tutto ciò che riguarda il cibo italiano". Un ponte che avrebbe dovuto proiettare Parma non solo in Europa (anche quella gli stava troppo stretta), ma nell'intero universo. Con l'ovvia conseguenza che  "non è quindi una struttura che creiamo solo per Parma o solo per l'Italia".


In qualsiasi altra parte del mondo, udite quelle parole, lo avrebbero trattato come un visionario, preso e rinchiuso da qaulche parte per impedirgli di fare dei danni, soprattutto perché anche i bambini sapevano che non si possono costruire abitazioni negli alvei dei fiumi. A Parma, invece, quel discorso farneticante diventò un'enciclica. E la stampa padronale si scatenò facendo a gara a chi lo magnificava ed esaltava di più. Non ho voglia di andarmi a rileggerre, cari lettori, le cronache di quei giorni, ma sono certo che sulla stampa scritta e parlata si sprecarono espressioni e titoloni come: "Ubaldi proietta Parma nel futuro", oppure "Un ponte di Parma verso il mondo". "Dopo quello di Neil Armstrong sulla luna, il passo di Ubaldi nell'universo". E roba di questo genere.
Ma quello che è peggio è che da Roma, la capitale dello Stato più corrotto d'Europa, non mandarono a Parma ambulanze e  barellieri, ma 25 milioni di euro per co struire un'opera abusiva, sull' alveo della Parma che è lì da vedere.  

UNA PASQUA TRISTE NEL PAESE DEI TAROCCHI

Sono d'accordo anch'io con l'amico dottor Ennio Mora che ritiene che anche sotto Pasqua si possa essere cattivi. E vi confesso, cari lettori, che le cose che stanno succedendo in qaesta città da un po' di anni a questa parte mi impediscono anche in questa occasione di festeggiare la Resurrezione di Cristo esternando dei buoni sentimenti.
Io non so se i parmigiani si siano assuefatti o siano sul punto di assuefarsi al marciume e al merdaio nel quale i poteri forti e la classe dirigente che detengono il potere hanno sprofondato questo ex ducato di Maria Luigia. Quello che è sicuro è che io fino ad oggi (del doman non v'è certezza), cioè fino al momento in cui scrivo queste righe in questo quindicesimo anno di vita di questo nostro piccolo grande giornale, non riesco proprio ad adattarmi. Non riesco proprio ad adeguarmi. Non riesco ad assuefarmi.

Non riesco a normalizzarmi. Non riesco a farmene una ragione. Non riesco proprio a gettare la spugna, a genuflettermi davanti a lor signori e, offrendo docilmente tutto me stesso, sia il davanti, sia il dietro, pronunciare la frase garibaldina  che a loro piace tanto: "Ok, ho capito. Adesso basta. Obbedisco!"  
Sarà forse perché le nefandezze accadute in questa nostra città io ve le ho dovute raccontare e descrivere settimana per settimana in questi lunghi tre lustri, senza riuscire a metabolizzarle, a digerirle. Sarà forse perché i precetti cristiani che mi ha inculcato mia mamma fin dalla culla mi impediscono di tollerare la prepotenza e la violenza dei forti nei confronti dei deboli. Sarà forse perché  l'esempio di mio padre, ccomandante partigiano contro l'oppressore nazi fascista rischiando la vita quando aveva poco più di vent'anni, mi tormenta sempre di più col passare del tempo.


Saranno forse questi e altri i motivi che mi spingono ancora oggi a ribellarmi allo "statu quo nunc" (stato di fatto) che la cupola massonico - mafiosa denominata Upi (Unione Potentissimi Intoccabili), che tiene in pugno questa città, vorrebbe imporre ai propri sudditi.
Soprattutto non riesco a sopportare quel "paese dei tarocchi" nel quale lor signori hanno trasformato questa nostra città, elevandola ad esempio mondiate di malaffare e di pratiche truffaldine.
Senza l'esempio dei ragionieri della Parmalat che riuscirono a taroccare i bilanci per oltre un decennio, inducendo decine di migliaia di persone a farsi depredare i risparmi di una vita in cambio dei famigerati bond carta straccia, non sarebbe mai venuto in mente ad Elvio Ubaldi di inventare decine di società fantasma (cosiddette partecipate) ove occultare le passività,  riuscendo così, grazie ad esse, ad aggirare le leggi di stabilità, a costruire sui debiti la sua inutile "città cantiere" e a taroccare i bilanci del Comune, portandolo sull'orlo del dissesto finanziario.


E senza il loro esempio (dei taroccatori della multinazionale di Collecchio e delle scatole cinesi ubaldiane) non sarebbe mai venuto in mente al faccendiere Manenti di pensare di riuscire a comprare una società di calcio come il Parma, gravata da oltre 200 milioni di debiti, prima sborsando la megagalattica cifra di un euro e poi di pagare gli stipendi milionari ai calciatori con prelievi bancari truffaldini tramite computer.
Che problema c'è?, deve avergli detto il capo banda della sua banda di truffatori. Se per tanti anni la Procura di Parma ha chiuso gli occhi sui bilanci truccati di Tanzi e su quelli quelli di Ubaldi e di Vignali e su quelli della Cooperativa Di Vittorio di Fidenza, perché dovrebbe accorgersi dei nostri trucchi che sono all'avanguardia della tecnologia cibernetica?


Una banda che deve anche aver saputo di come siano stati perseguiti penalmente in quel di Parma i truffatori di denaro pubblico  sulle aree della Spip, acquistate e rivendute lo stesso giorno con surplus da capogiro a beneficio di importanti personaggi locali. E di come siano stati perseguiti (e fottuti in galera) gli amministratori comunali ideatori e committenti (il solito Ubaldi), i progettisti (un architetto politicante forzitaliota) e i costruttori (fra i quali il re del cemento parmigiano) del Ponte abitato a nord sulla Parma che, come sapevano anche i bambini, e come abbiamo scritto noi decine di vole prima che venisse edificato, era ed è illegale, illegittimo, abusivo poiché le norme vigenti vietano tassativamente di  costruire abitazioni sugli alvei dei fiumi. Un'opera che solo in una città come Parma, dove operava, fino alla nomina del nuovo procuratore, un Tribunale al servizio dell'Unione Potentissimi Intoccabili, non ha visto perseguire la banda di criminali che l'hanno costruita con i soldi pubblici sottratti ai bisogni della parte più debole dei cittadini.


Con la speranza che il nuovo Procuratore si interessi finalmente di questo obrobrio architettonico abusivo.
Il neo presidente del Parma Calcio Manenti, prima di pensare di venire qui a comprare il Parma senza il becco di un quattrino, deve avere anche fatto affidamento sulla notizia, pubblicata dalla nostra Voce in esclusiva che l'appalto di una settantina di milioni, riguardante il teleriscaldamento, affidato da Enia alla Bonatti, era truccato e che la Procura della Repubblica aveva appreso in tempo reale dalle intercettazioni della Guardia di Finanza, tutte le manovre del taroccamento. Anche in questo caso senza poi muovere un dito.



Evidentemente, così come il collodiano paese dei balocchi attirava i bambini che marinavano la scuola, la fama mondiale acquisita da Parma come paese dei tarocchi attira come una calamita tutti coloro che vogliono sperimentare anche le più innovative e  avveniristiche tecniche truffaldine, facendoci credere, come aveva creduto Pinocchio, di poter far crescere  una pianta stracolma di euro dopo averne messo uno in una buca scavata in un prato. 




LE ASSICURAZIONI COLLUSE COI POTERI FORTI

        Non paga di avere divulgato ai propri edicolanti associati il diktat di rimuovere dalle nostre locandine un richiamo ad un articolo evidentemente sgradito al foglio mortuario degli industriali di Parma, la sedicente sinistrorsa Confesercenti ha rincarato la dose indirizzando, poco dopo, una seconda missiva contenente una demenziale giustificazione di quel vergognoso attacco alla libertà di stampa. Con in più false accuse a un "responsabile della Voce di Parma" (il sottoscritto, tanto per chiarirci) di avere intimidito e minacciato alcuni edicolanti che si erano adeguati a quel minaccioso ordine per evitare chissà quali conseguenze.

Il signor Monteverdi (come già preannunciato denunciato alle competenti autorità insieme alla sua "squadristica" associazione) evidentemente non si è ancora reso conto di quello che ha fatto, della gravità di quell'ordine censorio che non risulta avere precedenti nemmeno in questa città dominata da forze occulte massonico - mafiose che non si sono mai rassegnate alla coesistenza dei loro organi di disinformazione di massa con una stampa impossibile da addomesticare.
Le hanno provate tutte. Non sto qui ad elencarvi, cari lettori, le centinaia di volte che ho dovuto varcare i portoni dei tribunali per difendere me, il mio e vostro giornale e il mio e vostro diritto ad informarvi su quello che realmente succede in questa città, dagli attacchi e dalle denunce di quella cupola massonico - mafiosa che in tutti questi anni ci ha visto come il nemico pubblico numero. Da eliminare e annientare a tutti i costi.


Ci dovevano sopprimere perché denunciavamo i loro scandali e, soprattutto, la criminosa commistione fra interessi privati e soldi pubblici che ha fatto ingrassare palazzinari e cementificatori e portato sull'orlo del baratro finanziario il nostro Comune.
Il Ponte Nord (dei fantasmi) sulla Parma è solo l'ultimo degli eco mostri che sta a dimostrare come hanno potuto ingrassare certi costruttori con il pubblico denaro sottratto da politici corrotti ai bisogni della popolazione, specialmente di quella più debole e indifesa. Una costruzione abusiva e aberrante che in qualunque altra parte della terra avrebbe cacciato in galera politici, progettisti e costruttori e che invece ancora oggi è lì a dimostrare l'impunità garantita  a certi signorotti della città da un Tribunale e una Procura collusi con i potenti e i prepotenti. 


La vergognosa censura ordinata dalla Confesercenti ai suoi edicolanti associati dimostra una volta di più la collusione coi poteri forti di quella che una volta era a pieno titolo la sinistra parmigiana. Anziché difendere gli interessi dei suoi associati contro il colosso editoriale confindustriale, questa sedicente associazione sinistrorsa si scaglia, agitando la bandiera del totalitarismo, contro l'unica minuscola  realtà editoriale che a mama pena scalfisce il monopolio del colosso confindustriale. Un a obrobriosa alleanza, questa, un tempo considerata contro natura, che non rappresenta certo una novità ma che si proietta sulla base dall'alto, da un partito, il Pd, che a Parma e in Emilia ha perso ogni contatto con i ceti popolari.


E la gente comune lo sa. Lo ha ben capito quando alle ultime elezioni comunali ha trombato il signor Vincenzo Bernazzoli, uomo di punta del partito democratico locale e, al tempo stesso, candidato più gradito dall'Unione Parmense Industriali. E anche quando, qualche mese fa, ha protestato contro questi faccendieri "rossi" della politica nella regione più "rossa" d'Italia, con un clamoroso sciopero elettorale. 

I BRAGHETTONI ALLA PARMIGIANA

E' lui, Ernesto Monteverdi (la foto in camicia nera e in posa mussoliniana è tratta dall'archivio ed è puramente casuale), il "Braghettone" di Parma. Cioè l'emulo, quasi cinque secoli dopo, di quel Daniele da Volterra, allievo di Michelangelo, che nel 1564 eseguì l'ordine del Papa Pio IV di "coprire le parti pudende" (cioè gli organi genitali) del Giudizio Universale, nella Cappella Sistina, per evitare che le nudità dei personaggi potessero suscitare pensieri immorali. Così il buon Daniele mise le mutande ai nudi di Michelangelo, e per quest’impresa è passato alla storia col soprannominato Braghettone.
Della serie "in questa città il peggio non tocca mai il fondo", vi devo raccontare, cari lettori, la storia di questo finora a me ignoto signore, il "braghettone" di Parma, appunto, che venerdì scorso ha avuto la fascistissima idea di inviare a tutti gli edicolanti aderenti alla Confesercenti, una mail con l'ordine perentorio ("è necessario rimuovere") di mettere ampie "mutande" (i braghettoni, appunto, di antica memoria) alle nostre locandine, coprendo le "vergogne" in esse rappresentate. E le "parti pudende" della locandina erano rappresentate, per l'occasione dal titolo: "La ricetta Gazzetta per fronteggiare la crisi finanziaria: sostituire i giornalisti con i giornalai".


Un titolo ironico che faceva riferimento alla clamorosa notizia contenuta nel nostro settimanale che il foglio mortuario degli industriali, ormai evidentemente ridotto alla canna del gas, aveva inviato una missiva agli edicolanti invitandoli a collaborare, per rendere più completo e interessante il proprio look , utilizzando un numero verde per inoltrare al giornale notizie, spunti per articoli e inchieste. Una iniziativa, questa, che aveva suscitato fra i giornalai - impegnati in una dura vertenza con l'editore gazzettiero -  insulti, improperi e proteste il cui eco era giunto sino a noi con la richiesta di rendere pubblica quella missiva, firmata dal direttore Molossi e dall'amministratore delegato Montan, ritenuta dai più niente poco di meno che una provocazione. Provocazione dal sapore addirittura beffardo quando gli edicolanti hanno saputo che l'iniziativa era stata appoggiata dalla stessa associazione dei giornalai aderente alla Confesercenti.


Ovviamente noi abbiamo accolto di buon grado la richiesta di aiuto dei nostri amici edicolanti in guerra con il foglio confindustriale accusato di volerli strozzare riconoscendo un margine di guadagno irrisorio sulle vendite, soprattutto di quelle effettuate dietro esibizione della odiatissima card blu.
Il nostro intervento a sostegno della categoria così pesantemente bistrattata ha però suscitato un putiferio di reazioni. La più scomposta e violenta delle quale è stata appunto l'incredibile fascistissimo diktat di censura preventiva, che ogni addetto ai lavori che opera nel mondo dell'editoria dovrebbe sapere essere vietatissimo dalle norme (anche costituzionali) in vigore in Italia dopo la caduta del ventennio fascista. Una incredibile censura preventiva che, tra l'altro, ha avuto un immediato effetto boomerang, smascherando, come detto, la collusione con il foglio cimiteriale cittadino di questo sindacato degli edicolanti aderente ad una organizzazione di ispirazione sinistrorsa che dovrebbe proteggere gli interessi degli esercizi commerciali.


Lo scollamento della "base" da questo sindacato sedicente sinistrorso si è tramutato in un fallimento pressoché totale del sabotaggio di stampo fascista del nostro piccolo grande settimanale. Solo poche edicole, prontamente riprese dal nostro fotografo, hanno aderito in città  alla vergognosa illegittima iniziativa che ha portato allo scoperto l'asservimento di questa Confesercenti agli interessi del colosso editoriale dai piedi d'argilla di via Mantova ed a quelli della casa madre confindustriale di via Al Ponte Caprazucca.
Un fallimento pressoché totale visto che solo in un'edicola, quella di via Solferino, posta di fronte all'alternativa fra il ripristino della legalità con la riesposizione della locandina oscurata e la inibizione alla vendita della nostra Voce, ha preferito continuare ad obbedire al diktat di stampo squadristico, timorosa, evidentemente, della minaccia  di "problematiche future" contenuta nella missiva di Confesercenti sottoscritta dal "brachettone" Ernesto Monteverdi.


I nostri lettori che si recavano in questa rivendita a comprare la nostra "Voce", quindi, fin da questa settimana dovranno rivolgersi ad altra edicola perché noi non accettiamo intimidazioni, sabotaggi, boicottaggi, censure di nessun genere e di nessuna provenienza, men che meno se calate dall'alto di quei palazzi che fino a oggi hanno potuto godere di benevolenza e impunità da parte di chi avrebbe dovuto assicurare e garantire a tutti i cittadini il rispetto della legalità e la par condicio di lavoro e di impresa.
Questa - quella della inibizione a vendere il nostro giornale a chi lo boicotta - è la nostra sanzione ad esecuzione immediata. Quanto al "braghettone" e alla sua associazione di categoria, sarà inevitabile che rispondano del loro attacco alla libera stampa nelle competenti sedi civili e penali.

L'ULTIMA SPIAGGIA DELLA GAZZETTA. SOSTITUISCE I GIORNALISTI CON I GIORNALAI


Vi dico subito, cari lettori, che la notizia più clamorosa di questa settimana non è la scoperta della identità (a noi già ben nota) del pluriergastolano che ha cercato di salvare Tommaso Ghirardi dalle conseguenze (soprattutto penali) del tracollo finanziario del Parma Calcio, inguaiando i vertici della Guardia di Finanza. Nè l'ennesima boccata d'ossigeno che gli stregoni accorsi al capezzale dell'aeroporto hanno deciso di somministrargli, anziché staccargli definitivamente la spina. E nemmeno l'incredibile notizia, che mi auguro sia solo una bufala gazzettiera, che il sindaco Pizzarotti vorrebbe contribuire, con qualche decina di migliaia di euro, prelevati dalle tasche esauste dei contribuenti parmigiani, a questo accanimento terapeutico voluto dai suoi amici (e burattinai) dell'Unione Industriali.

E ciò nonostante casse comunali così vuote da non permettergli di continuare a garantire i servizi essenziali ai disabili o qualche piccolo contributo alle fasce più deboli e indifese dei cittadini che in questo momento stanno tirando la cinghia e soffrendo le conseguenze di una crisi che pare non avere sbocchi.
La notizia più clamorosa è, a mio avviso, quella che anche i vertici del foglio mortuario degli industriali (alias Gazzetta di Parma) si sono finalmente resi conto che questa loro creatura che chiamano giornale è poco interessante e incompleta.
E sapete, cari lettori, qual è la medicina alla quale hanno pensato di ricorrere il direttore Molossi e l'amministratore delegato Montan per rendere "interessante e completo" quello che noi abbiamo sempre definito l'organo di disinformazione di massa dei parmigiani? Semplice. Anzi, elementare: sostituire i giornalisti con i giornalai.

Sì, avete capito bene, cari lettori, una cinquantina di giornalisti professionisti e qualche centinaio di collaboratori non riescono a rendere "interessante e completo" il foglio funerario di via Mantova. E allora ecco estrarre dal cilindro il colpo della genialità: sostituire questi scribacchini di professione, che, tra l'altro, hanno anche il brutto vizio di pretendere di essere pagati, con gli edicolanti, cioè i rivenditori non solo del foglio mortuario, ma anche del nostro piccolo grande giornale. Dai giornalisti ai giornalai, dunque. Questa la miracolosa medicina inventata dai vertici gazzettieri per uscire da uno stato di crisi, proclamato ufficialmente nel settembre 2013, ma risalente a molti anni prima e concretizzato in una drammatica fuga di lettori che hanno abbandonato in massa in pochi anni un giornale che ai tempi di Baldassarre Molossi tirava oltre cinquantamila copie.


Il primo tentativo di bloccare questa diserzione di massa è stato il ricorso più naturale per un foglio cimiteriale: rianimare i morti. Cioè sostituire quelle facce smorte, tristi, piuttosto depresse dei defunti in bianco e nero con quelle sgargianti, sorridenti, soddisfatte, quasi euforiche, dei de cuius a colori.
Niente da fare. Il rimedio, evidentemente non è servito a nulla. Non solo non ha guarito l'ammalato, ma ha aggravato il suo stato di salute facendo incazzare la parte più intelligente e democratica dei pochi lettori rimasti che si era convinta che di fronte alla morte fossimo tutti uguali e che, almeno al momento dell'addio, non dovessero esserci distinzioni fra morti di serie A e morti di serie B.


Ecco allora l'estremo tentativo di rianimare questo foglio facendolo scrivere anziche ai giornalisti ai giornalai.
L'idea, devo dire la verità, mi sembra buona. Anche se un po' vecchiotta. Noi della Voce, infatti, da sempre otteniamo le migliori notizie, gli scoop più clamorosi,  proprio dai nostri amici edicolanti. Sono loro, assieme ai nostri lettori, che da sempre scrivono i migliori pezzi su questo nostro piccolo grande giornale.
E l'ultimo scoop che ci hanno offerto su un piatto d'argento è proprio questo: quello della clamorosa notizia che la Gazzetta anche su questo versante vuole copiarci. 
        

            
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