lunedì 27 luglio 2015

LA LEGITTIMA DIFESA DEI PARMIGIANI CONTRO L0INCENERITORE: BOICOTTARE IREN


           Enia, la multidannosa società per azioni che sotto il nuovo nome di Iren ha costruito - con finalità meramente speculative, con l'appoggio dello sputtanatissimo Partito Democratico e incurante della protesta popolare -  il "mostro" nel quartiere Spip, a due passi dalla Barilla e a un tiro di schioppo da piazza Garibaldi, non smette di avanzare richieste provocatorie. L'ultima ella serie, sul tavolo del nuovo presidente sinistrorso dell'ente inutile  provinciale Fritelli (per fortuna Bernazzoli dopo essere stato clamorosamente trombato alle elezioni comunali è scomparso dalla circolazione) è quella di aprire le porte dell'inceneritore ai rifiuti provenienti da tutta Italia per bruciare quelle 195 mila tonnellate di rifiuti per poter trarre il massimo profitto col massimo danno della salute dei cittadini. Una eventualità, quella di attrarre rifiuti da fuori provincia,  negata a suo tempo con sdegno sia da Enia che dai suoi padrini politici del Pd, insieme al volgare ricatto  (benefici economici per compensare un'aria da respirare più appestata) di una diminuzione delle tariffe sulla raccolta rifiuti che già all'epoca erano di gran lunga superiori a quelle praticate nelle limitrofe  provincie   di Piacenza e Reggio Emilia. Un volgare ricatto anche truffaldino perché nella realtà , dopo l'entrata in funzione del "mostro" è aumentata solo l'insalubrità dell'aria a fronte della quale non si è vista alcuna diminuzione della bolletta rifiuti che, addirittura, pare sia in procinto di essere gonfiata.
Gli avvocati De Angelis e Allegri - rimasti da soli a lottare contro il "mostro", dopo che il sindaco Pizzarotti e la sua Giunta di grillini rinnegati hanno dimenticato anche in questo campo le promesse elettorali che avrebbero dovuto vederli rivoluzionariamente a protezione dei legittimi interessi  dei cittadini, anziché fiancheggiatori, di fatto, degli illegittimi interessi dei poteri forti - hanno riesumato un solenne proclama, esternato alla città a pagamento, coi nostri soldi, sul foglio mortuario degli industriali (vedi foto a lato), nel quale si assicurava  la totale innocuità del "mostro" e si garantiva la riduzione della esosa bolletta dei rifiuti. Balle, naturalmente, sia quelle  sul mancato inquinamento atmosferico, sia quelle che facevano leva sul portafoglio sempre più sgonfio dei parmigiani, dell'alleggerimento della supertariffa imposta a fronte di una raccolta rifiuti che, producendo enormi utili a questa multiinutility, dovrebbe essere retribuita e non tassata. 
 L'ingordigia di questi signori (alimentata, come detto, da un sostanziale disco verde di questa amministrazione grillina, al di là delle inutili foglie di fico di preannunciati cortei sempre più fini a se stessi), però, non ha limiti e e travalica anche il più comune senso del pudore. Adesso vogliono ammorbare i nostri polmoni, quelli dei nostri bambini e dei nostri anziani con un supplemento di inquinanti, anche cancerogeni, provenienti dal rudo prodotto fuori dai nostri confini. E i parmigiani, questa volta devono opporre un no senza se e senza ma.
E se le carte da bollo chegli avvocati De Angelis e Allegri non sortiranno anche questa volta alcun effetto, stante la complicità di Tribunali sempre più compromessi e asserviti ai desiderata dei poteri forti, i cittadini dovranno fare da soli, ricorrendo al legittimo strumento della legittima difesa. Uno strumento non ancora abrogato in questa Repubblica delle Banane che dalle leggi ad personam di Berlusconi, a quelle ridicole sugli appalti, fino all'ultima "Sblocca Italia" ha saputo produrre solo normative per alimentare la corruzione nella pubblica amministrazione.
Se ancora una volta leggi e i tribunali daranno ragione a lor signori (e ai loro sodali del Pd), la risposta dei cittadini alla prepotenza istituzionale  dovrà esprimersi nel boicottaggio di Iren, una società sostanzialmente privata che miete utili sulla pelle della gente.    Voce 30.06.15              

E POI MATTEO INVENTO’ L’ITALICUM CORRETTO AL “PARMELLUM” PER FAR FUORI BERLUSCONI


   Assetato di vittorie elettorali dopo l'ubriacatura delle elezioni europee che tutto il mondo sa, comprese le ultime repubbliche delle banane, che è riuscito a vincere col 40 per cento dei voti comprando 10 milioni di elettori con la fantastica "trovata" dei famosi 80 euro, il nuovo fenomeno (da baraccone) della politica italiana Matteo Renzi, entrò in conclave al Nazareno con il piduista Berlusconi (suo padre putativo) e dalla loro congiunzione nacque  l'Italicum, la nuova legge elettorale studiata ad hoc per far fuori Beppe Grillo che in quel momento il ducetto fiorentino riteneva l'avversario più pericoloso per la (sua) democrazia.
Una legge elettorale che, mantenendo tutte le porcate del "porcellum", dichiarato fuori legge dalla Corte Costituzionale, permetteva ancora ai capi partito di nominare i deputati di questa repubblica bananifica da quinto mondo, introducendo però il doppio turno di coalizione per decidere chi doveva governare. Inutile dire che lo spauracchio dei grillini, risultato il primo partito italiano col 25 per cento alle ultime elezioni politiche ("quasi vinte" da Bersani), veniva esorcizzato perché ad un ipotetico ballottaggio sarebbero andati il cosiddetto centro destra (dai neo fascisti di Casa Pound ai berlusconiani, compresi i neo entrati e i fuoriusciti, con epicentro nella Lega dell'astro nascente Salvini) e il sedicente centro sinistra unificato nel Pd prenditutto di Renzi.
Come sapete, cari lettori, in questo Stato truffaldino, governato da nominati corrotti che non trovano i soldi per pagare le pensioni da fame ma che li trovano, eccome, per darsi stipendi da nababbi, privilegi da signorotti medievali   e per comprare  bombardieri che non si sa chi dovrebbero andare a bombardare o per costruire inutili gallerie sotto le Alpi, ogni politicante che riesce a prendere il potere la prima cosa che lo preoccupa è quella di escogitare una legge elettorale a sua immagine e somiglianza che possa assicurargli per l'eternità quella poltrona sulla quale è riuscito a mettere il deretano.
Ebbene sono talmente stupidi, questi nostri politicanti che della furbizia fanno la principale arma del potere, che finora si sono sempre fatti delle leggi elettorali, dal mattarellum al porcellum, che poi sono risultate vincenti sì, ma per gli avversari.
Il problema, però, è che il giochino ora si è complicato per il fatto che non vi sono più solo due coalizioni a fronteggiarsi, le sedicenti destrorsa e sinistrorsa. Due facce comunque della stessa medaglia  fittiziamente contrapposte ed artatamente alimentate dai mezzi di disnformazione di massa (anch'essi parte integrante del medesimo sistema di acquisizione del consenso elettorale) per dare continuità a quella contrapposizione politica che piace tanto agli italici ma che non ha più alcun senso in un mondo globalizzato dominato dai burattinai dell'economia e dalla finanza, dove i politici sono relegati al ruolo di burattini ies man ai quali i primi (i burattinai) concedono solo l'ebbrezza di ingrassare coi soldi pubblici.
Ora, però, con quel 25 per cento conquistato da Beppe Grillo alle ultime elezioni senza aver comprato un solo voto con il denaro dei cittadini, le cose si sono tremendamente complicate sia per i burattinai, sia per i burattini. E questo perché se era difficile prima  ritagliarsi addosso una legge elettorale in un sistema bipolare, ora è diventato praticamente impossibile in questo sistema tripolare.
E questo ancora di più perché il terzo polo, quello grillino, è fuori dal sistema. Vuole distruggere  - e lo proclama apertamente - quel sistema creato nel dopoguerra sulle ceneri del fascismo e degenereato con gli anni in questa repubblica bananifica dei mangia mangia, dove la cosa pubblica è diventata terreno di conquista di corrotti, corruttori, mafiosi, e associazioni massoniche o pseudo religiose come Comunione e Liberazione che dietro il paravento evangelico mietono affari sulla pelle della povera gente e degli ultimi della terra.  
Il problema per Renzi - politico creato dal nulla e messo lì a governare dai poteri forti proprio per cercare di eliminare il terzo polo anti sistema di Beppe Grillo (così come Berlusconi fu creato dal nulla, al medesimo scopo di eliminare o, quanto meno, assorbire il pericolo anti sistema allora impersonato dalla Lega di Umberto Bossi) - è quello di estirpare la presenza dei grillini che stanno invadendo i consessi istituzionali seminando il germe nefasto della restituzione dei soldi ai cittadini. Un messaggio rivoluzionario e a breve termine dirompente, elettoralmente disastroso per chi spregiudicatamente usa i soldi dei cittadini anche per comprare il consenso elettorale.
In questo penoso quadro politico e istituzionale non ho compreso, cari lettori, l'ultima mossa strategica del ducetto nascente Matteo Renzi. Non ho capito quando ha detto "stai sereno Silvio" e poi lo ha inchiappettato col sistema Letta, apportando alla nuova legge elettorale quella modifica che taglia fuori la sua coalizione da un ipotetico ballottaggio, aprendolo alle singole liste, cioè al Movimento 5 Stelle di Grillo che del rifiuto delle alleanze ha sempre fatto un proprio cavallo di battaglia.
Una modifica che ha suscitato l'ira di Berlusconi e fatto saltare il "patto del Nazareno" (nessuno può credere alla favola che il motivo della rottura di quella nefasta alleanza sia stato l'elezione di Mattarella alla presidenza della Repubblica) perché ovviamente sarà impossibile per il polo destrorso mettere insieme un listone con alla testa l'astro nascente Salvini che possa competere con il Pd  anche nella Italia meridionale.
Via libera, dunque al ballottaggio del Pd contro Grillo con questo Italicum corretto al Parmellum, cioè esattamente con quel sistema che ha catapultato i grillini di Parma a vincere le elezioni comunali tre anni fa fra lu stupore generale.  23.06.15          

IL “SISTEMA PARMA” DEGLI APPALTI TRUCCATI CLONATO IN SICILIA PER SPECULARE SUGLI ULTIMI DELLA TERRA



Non risultando indagato, almeno per il momento, alcun pezzo grosso della Pizzarotti nella mega inchiesta denominata "Mafia Capitale", partita da Roma e arrivata come uno tsunani a lambire la costa sicula, travolgendo il villaggio Vip "Cara Mineo" che  il  colosso del cemento parmigiano aveva messo a disposizione nel 2011 del drammatico sbarco di disperati in fuga dalle guerre e dalla fame, con una generosità e abnegazione che avevano commosso l'Europa e intenerito il cuore addirittura  del leghista duro e puro Roberto Maroni, fino a  quel momento  terribile ministro dell'interno fautore del respingimento anche a costo di sparare sui barconi, devo immaginare che il dottor Paolo, patron della samaritana ditta, sia baciato da una fortuna invidiata da chiunque partecipi a un appalto: quella di vincere gare  grossolanamente truccate a suo favore, senza che lui lo sappia.
Proprio come accadeva all'ex ministro ligure Claudio Scajola che aveva avuto il culo di vedersi pagare a sua insaputa un immobile romano con vista sul Colosseo.
Sono eventi che accadono solo nelle migliori famiglie, non certo ai barboni che vivono sotto i ponti.
E non è nemmeno la prima volta che il dottor Paolo Pizzarotti riceve importanti doni senza saperlo. Lui stesso (lo mise nero su bianco in un verbale di interrogatorio del Pm fiorentino dottor Pietro Suchan), dichiarò di non avere saputo che l'allora sostituto procuratore Francesco Saverio Brancaccio e l'allora Gip Vittorio Zanichelli avevano emesso un ordine di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti per un appalto dell'Università (evidentemente ritenuto poco ortodosso), e che quel provvedimento restrittivo della sua libertà personale non era mai stato eseguito perché revocato immediatamente dopo essere stato emesso dai due solerti magistrati del Tribunale di Parma. Una storia fantozziana o, meglio ancora, alla Totò che non potevano certo raccontare ai nipotini, invece, due suoi coimputati (due "disgraziati" tecnici che secondo l'ipotesi accusatoria avevano partecipato a truccare la gara) prelevati dai carabinieri quell'estate, uno mentre era in vacanza al mare e l'altro in montagna e cacciati in galera senza tanti se e tantti  ma.
Al Pizzarotti, quindi, non solo fu evitato l'ingresso nel carcere di via Burla che ben conosceva perché la sua ditta lo aveva appena costruito, ma anche l'imperdonabile (aggravato da una vera e propria lesa maestà) affronto di avere emesso nei suoi confronti, e senza il suo consenso, quell'ordine di cattura. Imperdonabile ancor più perché a richiederlo era stato il Brancaccio, suo compagno di merenda (nel vero senso della parola) visto che si recava al pomeriggio a giocare a pallone nella sua tenuta di campagna ad Ozano Taro. E a firmare e poi a revocare immediatamente dopo quell'ordine di custodia cautelare era stato il giudice Zanichelli, suo compagno di studi e, secondo una nota interrogazione parlamentare, anche lui saltuariamente impegnato in partitelle cameratesche in quel campetto da calcio sulla riva del Taro. Un uomo fortunato, quindi, il Pizzarotti, perché non capita a tutti di essere giudicati per presunti gravi reati contro la Pubblica Amministrazione da un paio di soggetti che sarebbero stati poi presi da inconfessabili sensi di colpa se avessero sbattuto in gattabuia l'amico di tante avventure.
Tornando alla "mafia capitale" e a qull'appalto taroccato vinto da una associazione di imprese della quale faceva parte anche la Pizzarotti, a pensarci bene mi viene però il dubbio cheil re dei palazzinari di Parma non sia poi stato tenuto completamente all'oscuro da quella schifezza di gara confezionata sulla pelle degli ultimi della terra per far vincere anche lui l'appalto. Qualcosa, a pensarci bene, secondo me, doveva sapere. Non foss'altro perché quella nefandezza d'appalto - ora commissariato dal dottor Cantone dell'Autorità preposta a contrastare la dilagante corruzione negli appalti pubblici - somiglia tremendamente all'appalto della Tangenziale Sud di Parma.Le analogie sono impressionanti. L'unica differenza sta nel fatto che nel caso dell'appalto pilotato della Tangenziale Sud di Parma la Pizzarotti era capofila di una cordata di imprese bianco-rosa (democristiane e socialiste) e cooperative rosse (comuniste), mentre in questo del Cara Mineo si trova in posizine più defilata, facendo parte di una associazione di imprese, consorzi e cooperative di variegati colori e confessioni religiose (Comunione e Liberazione in prima fila) nella quale non appariva come la capocordata.
Speculare, invece, il sistema usato per far vincere i predestinati: confezionare dei bandi su misura per i vincitori. Nel caso della Tangenziale Sud fu l'assessore Brenno Begani a raccontarlo  al Pm Brancaccio (sempre lui, amico di Pizzarotti) e al giudice Zanichelli (sempre lui, l'amico di Pizzarotti) nel processo farsa che finì con una sentenza farsa (prescrizione per tutti gli imputati):
"Prima di affrontare la stesura del bando", raccontò Begani "decidemmo in Giunta di riunire in due stralci di lavori in modo da  porre delle griglie di partecipazione molto alte eliminando conseguentemente la partecipazione come capigruppo di imprese medio piccole. Una scelta ben precisa perché così facendo restringevamola partecipazione in Parma a due o tre imprese. Poiché due di queste, e cioè la Bonatti e l'Incisa erano rivolte, all'epoca, più al mercato esterno, praticamente in Parma l'unica ad avere i numeri richiesti dal bando era la Pizzarotti".
Giù in Sicilia, invece a cantare è stato Buzzi che, interrogato dal Pm Cascini, titolare della grande inchiesta su Mafia Capitale che sta facendo tremare il Campidoglio, dice:
 "Io sono un povero disgraziato, non so le cose direttamente su Mineo. A me questa storia l' ha raccontata Luca Odevaine. So che il Consorzio indice la gara e credo che il sottosegretario Castiglione sia fortemente interessato a questa cosa, e fa si che la gara venga aggiudicata, almeno così, venga, insomma, indicato chi è il soggetto che dovesse vincerla nel 2012. Doveva vincerla un'Ati, questa Ati che c'era, che era costituita tra chi faceva i servizi di accoglienza, tra chi faceva i servizi di ristorazione, tra Pizzarotti che manteneva l'immobile. Poi nel 2014, la gara viene bandita nuovamente perché era scaduta la prima e la gara è stata riaggiudicata con un bando sartoriale... perché se tu mi prevedi un bando che doveva avere il centro cottura a 20 km, e ce l'ho solo io il centro cottura a 20 km, solo io posso partecipare. Nessuno potè partecipare, questo è quello che mi ha raccontato Odevaine. E' la gara da 150 milioni di euro, eh!".
Dalle "griglie" parmigiane al bando "sartoriale" catanese il passo è breve e  assomiglia in modo impressionante ad un sistema collaudato e blindato per pilotare le gare d'appalto che a Parma ebbe un felice epilogo giudiziario soprattutto perché uno dei principali imputati, il Pizzarotti,  veniva ancora una volta giudicato dai suoi due amici con la toga e soprattutto perché altri due possibili protagonisti di quella gara fraudolenta, il sindaco Grossi e il vice sindaco Ubaldi, nemmeno figuravano fra gli imputati: veniva fatto tutto a loro insaputa. Le retate di Tangentopoli erano ancora da venire e i panni sporchi anziché in Tribunale si lavavano in famiglia. Voce 16.06.2015     
        

DOPO QUELLA DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE, ANCHE LA “SPINTA PROPULSIVA” DEGLI 80 EURO E’ ESAURITA



 Questa settimana, cari lettori, devo ringraziare Luca Zaia e Giovanni Toti, anche se non  mi stanno particolarmente simpatici (soprattutto il secondo), per avere fatto tacere per almeno 24 ore, dalla tarda serata di domenica 31 maggio a  tutto lo scorso lunedì primo giugno, il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Era ormai più di un anno che ciò non accadeva: niente twitterate, niente autoscatti con battute idiote, niente slogan, niente battute contro i gufi. Niente di niente. Dopo ore e ore durante le quali eravamo tutti preoccupati per non vederlo apparire in tv, i telegiornali hanno cominciato a diffondere le sue immagini in tuta mimetica, mentre arringava in Afganistan i soldati italiani chiedendo loro di resistere ancora qualche mese senza farsi sgozzare,  in attesa che gli americani diano loro il permesso di tornare a casa.
Nemmeno una parola su quanto accaduto in patria al suo Pd de 40 per cento nelle elezioni del giorno prima. Come se nulla fosse successo, come se non avesse preso una memorabile sberla elettorale.
Grazie a Zaia e Toti mi è tornato alla mente quel  15 dicembre 1981, quando Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano (nulla da spartire, ovviamente, con il ciarlatano ex sindaco di Firenze), dopo il golpe militare di Jaruselsky in Polonia, dichiarò "esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre".
Domenica scorsa, 31 maggio 2015 si è consumato il secondo storico esaurimento: la spinta propulsiva degli 80 eurro renziani si fortunatamente esaurita.
Ricordate, cari lettori, la filastrocca di questi 80 euro, ripetuta fino alla nausea dal "circo magico" che ruota attorno Matteo Renzi negli ultimi giorni che lo scorso anno hanno preceduto le elezioni europee? Ricordate quando i pappagalli, e soprattutto le pappagalle renziane, fottevano dentro questi 80 euro in tutti i discorsi e in tutte le salse di quella campagna elettorale? Ricordate quando la strafiga Alessandra Moretti, fortunatamente stratrombata domenica scorsa  dal leghista Luca Zaia  alle elezioni regionali venete, rispondeva sempre ripetendo come un automa con gli 80 euro a qualsiasi domanda su qualsiasi argomento posta dai sedicenti giornalisti, anch'essi  addomesticati, nei vari  talk show? "Onorevole Moretti, qual è il vostro programma sulla scuola?" E lei:"gli 80 euro al mese che Matteo mette nelle tasche degli italiani...". E poi ancora: "oggi piove o c'è il sole?" E lei: "difficile dirlo, quello che è sicuro è che gli 80 euro che il premier Renzi fa arrivare nelle tasche di dieci milioni di italiani permetteranno di comprare l'ombrello sia per ripararsi dal sole che dalla pioggia".
E via di seguito, tutti i giorni a tutte le ore, da parte di tutta la propaganda renziana. Un vero e proprio mafioso voto di scambio che portò il Pd del rampante Matteo Renzi a superare il 40 per cento in quelle elezioni. Con la conseguenza che da quel giorno fino a domenica scorsa i pappagalli e, soprattutto, le pappagalle renziane, hanno cominciato a sostituire - anche in questo caso fino alla nausea - quegli 80 euro col 40 per cento.
In ogni occasione e in ogni salsa: "Un partito come il Pd del 40 per cento..."; "Il 40 per cento preso da Renzi alle elezioni...";"Abbiamo raddoppiato, col nostro 40 per cento i voti grillini, destinati ormai a scomparire...".
E via discorrendo, sempre, ossessivamente, in tutti i tg e in tutte le apparizioni televisive del mattino del pomeriggio, della sera e della notte.
Adesso, dopo la batosta elettorale di domenica scorsa che ridimensiona il Pd dell'aspirante dittatore fiorentino a livello bersaniano, a poche lunghezze dai Cinque Stelle grillini (non solo non scomparsi, ma alla loro più importante affermazione nelle elezioni amministrative, confermandosi il secondo partito italiano), quanto meno lo slogan del 40 per cento da mettere in bocca ai pappagalli e alle pappagalle renziane dovra essere rivisto.
Al suo posto è cominciato, ma è durato poco e con poca convinzione, per la verità, quello, quasi comico, del 5 contro 2. Cioè delle cinque vittorie del centro sinistra, contro le due del centro destra.
Anche al senatore Giorgio Pagliari, completamente appiattitosi sulle ciarlanate renziane da quando è sbarcato a Roma, questa vittoria del 5 a 2 deve essere sembrata una barzelletta, visto che ha riconosciuto che il voto delle  ultime regionali deve fare riflettere il Pd. E il Pd deve riflettere soprattutto a Parma dove, sia pure di fronte ad un a destra allo sbando e a un movimento  5 Stelle scomunicato e inesistente, è riuscito inesistente è uscito dalle elezioni con le ossa ancor più rotte del partito nel resto d'Italia.  Voce 09.06.15    
          

SUDDITI DI UNO STATO TRUFFALDINO


  Adesso che ai vertici della piramide, lassù in quel di Roma, è salito un ragazzotto fiorentino che, tre giorni prima di inchiappettare il suo predecessore compagno di partito, portandogli letteralmente via la poltrona da sotto il culo,  gli ha giurato fedeltà e collaborazione, rassicurandolo con quell "Enrico, stai sereno" che fra galantuomini sarebbe valso  più di un rogito, non si può certo pretendere che le altre cariche istituzioni - da quelle centrali a quelle periferiche - siano praticate da politici e amministratori onesti, che mantengono la parola data. Li sentiamo tutti, prima di incollarsi alle chiappe la  poltrona, giurare e stragiurare che l'unico scopo della loro esistenza, da quel momento lì in avanti,  sarà il "bene dei cittadini". Cioè il bene nostro, cari lettori.
Non ne ho mai sentito uno di queslla specie, porca miseria, dire con sincerità: "se riesco a mettere il deretano su quella poltrona pubblica, pagata con le vostre tasse, penserò solo ai cazzi miei, mi occuperò degli interessi della mia famiglia, del mio partito, procurerò un posto e uno stipendio ai miei amici e alle mie troie". Mai neanche uno.
Tre anni fa, lo ricordo bene, dopo essermi tappato il naso andai in piazza Ghiaia a sentire il segretario Pd Bersani nel suo comizio anti Grillo in appoggio al candidato sindaco sinistrorso (si fa per dire) Bernazzoli. Fra tutte le promesse fatte me ne è rimasta impressa una: siccome Beppe Grillo tuonava contro i vergognosi privilegi della casta degli onorevoli, lui promise che, appena arrivato al governo, avrebbe dimezzato gli stipendi dei parlamentari, oltre ad abolire, ovviamente, tutto il pacchetto degli schifosi privilegi medievali. Parlava non a titolo personale, ovviamente, ma a nome del suo partito, di cui, come detto, era il numero uno. Ora che il suo partito governa grazie a un parlamento di nominati (anche da lui) grazie alla puzzolenta ed anticostituzionale legge elettorale del porcellum, lui, parlamentare nominato, continua a prendere lo stesso stipendio di prima, come tutti gli altri onorevoli, eccetto i grillini che gli emolumenti se li riducono davvero.
Per assicurarsi il potere i politici italiani raccontano qualsiasi balla, anche la più impossibile da credere. E per mantenersi i loro privilegi e i loro stipendi da nababbi mentre il popolo soffre spaventose crisi di astinenza (dalle necessità primarie) non si fanno nemmeno scrupolo di rubare dalle tasche dei cittadini anche quel poco che rimane loro per cercare di sbarcare il lunario e arrivare alla fine del mese.
Per garantirsi la pancia piena e stragonfiare i conti in banca, mettono le mani anche sulle pensioni, questi onorevoli nominati, con leggi non solo fuori dal buon senso, ma anche dalla Costituzione.
La Costituzione,  anche ai tempi democristiani della prima e seconda repubblica, era intoccabile. Ora, nell'era di questi onorevoli rapaci , anche della Costituzione e della Corte Costituzionale se ne infischiano. In qualsiasi altra parte del mondo, anche nelle repubbliche delle banane più corrotte, di fronte ad una pronuncia di incostituzionalità della legge con la quale un parlamento era stato eletto, avrebbe procurato l'immediato scioglimento di quel consesso di usurpatori. In Italia sono ancora tutti lì e sono loro, questi politicanti col pelo sullo stomaco, che addirittura stanno rifacendo la Costituzione nata sul sangue versato dai nostri padri che hanno combattuto la dittatura nazifascista.
E le sentenze della Corte Costituzionale valgono solo quando ripristinano dei privilegi di lor signori. L'Inps, qualche anno fa, ha  rimborsato i tagli operati sugli stipendi d'oro degli statali un minuto dopo la dichiarazione di incostituzionalità della legge che li aveva disposti, ma se ne infischia quando i tagli incostituzionali colpiscono le pensioni, anche le più basse.
Ma ecco, per arrivare al nostro argomento di copertina di questa settimana, la vergogna delle vergogne. La multiutility Iren, quella che ha costruito l'inceneritore dopo avere garantito, in cambio delle pestilenze, anche cancerogene, sputate fuori dal camino di quel mostro, una riduzione delle bollette (salute barattata con dei soldi) e dopo avere assicurato che il rudo bruciato sarebbe stato solo quello prodotto da noi, ora non solo non ha diminuito le bollette della raccolta rifiuti, ma le aumenterà e, grazie a nuove normative introdotte dal quel bagolone contrafrottole che rasserenò il povero Enrico,  cerca anche di ammorbare l'aria che respiriamo con i rifiuti arrivati a Parma da tutta Italia.
E poi, vergogna nella vergogna, questa "multidanny", rifiuta anche di rimborsare gli utenti parmigiani derubati per decenni con le bollette "gonfiate" con l'Iva sulla tassa dei rifiuti. Anche questo un balzello dichiarato incostituzionale, ma di costituzionale per i nostri politici e amministratori  famelici ci sono rimasti solo le loro fauci, le loro mascelle e  i loro capienti stomaci.  
2 giugno 2015      


QUANDO IL SINDACO ERA “NOSTALGICO” E STRAVEDEVA PER IL LUNGOPARMA

                Quello che mi preoccupa di più, cari lettori, riguardo al destino della Parma romana riemersa dopo duemila anni a seguito degli scavi nell'area dell'Oltretorrente dove sorgeva il palazzo dell'Anagrafe da parte della associazione di imprese Pizzarotti - Soparco che su quel terreno intendono edificare dei palazzi, è l'assordante silenzio del sindaco Federico Pizzarotti.
Lo abbiamo visto apparire dappertutto e sentito intervenire su tutto. Molte volte a sproposito, come quando ha accreditato, unitamente ai vertici dell'Unione Parmense Industriali, pluriergastolani e faccendieri nella tragicomica vicenda della vendita del Parma Calcio da parte del fuggiasco Ghirardi. O come quando, mentre chiudeva asili e riduceva sussidi ai disabili, prometteva decine di migliaia di euro, sempre in sintonia con lor signori, per tenere in vita un aeroporto che ha già succhiato nei decenni passati somme ingenti al Comune e alla Provincia di Parma.
Sulla sorte della riemersione della città romana, invece, nemmeno una parola. Il disinteresse del primo cittadino pare essere totale. E ciò nonostante abbia manifestato, in passato, una forte avversione verso quei palazzacci  che deturperebbero per sempre lo scorcio del Lungoparma.
Pare essere passato un secolo, non soli tre anni, quando Pizzarotti aspirante sindaco, in campagna elettorale si scagliava contro i palazzoni dell'omonimo costruttore con queste poco lungimiranti parole: "Forse saremo rimasti fra i pochi nostalgici ma pensiamo che lo scorcio del Lungoparma sia uno dei più belli d'Italia, paragonabile forse a quelli di Firenze e Verona. Non ce ne vogliano gli architetti, ma dopo aver visto il rendering dei nuovi edifici che sorgeranno nell'area dell'ex anagrafe, edifici alti 14 metri di 3 piani con attico, non possiamo che parlare dell'ennesimo scempio paesaggistico di Parma, ancora peggiore perché perpetrato  ai danni del centro storico. Ennesimo perché già ora è sufficiente fermarsi sul Lungoparma all'altezza della Nuova Ghiaia e osservare gli edifici storici che si affacciano sull'ex parcheggio dall'altra parte del torrente su cui dovrebbero sorgere i nuovi palazzi. In quella zona, per rispetto dell'armonia architettonica degli edifici esistenti, non si dovrebbe costruire nulla".
E pensare che Federico Pizzarotti, quando esprimeva questi sacrosanti concetti, non sapeva ancora che per costruire quegli obbrobriosi e squallidi palazzi che deturperanno per sempre quello scorcio del Lungoparma che riteneva uno dei più belli d'Italia, si dovranno sacrificare anche le antiche vestigia della Parma Romana riemersa due anni dopo quelle sue esternazioni.
E ora che lo sa, ora che potrebbe condizionare pesantemente la Sopraintendenza nel vietare uno scempio che non è più solo ambientale, ma anche storico e artistico, non ha più niente da dire. Ora che, grazie anche a quelle promesse di far voltar pagina a questa città, è divenuto sindaco di Parma, su questo argomento ha perso la prolifica favella. E non si pone più certe "scabrose" domande che invece, in quel tempo preelettorale lo affliggevano. Così, infatti, proseguiva il suo sermone contro i palazzacci con vista sul torrente: "Ci domandiamo come sia possibile che la Soprintendenza possa permettere la costruzione di questa ennesima colata di cemento e vetro che ha come unico scopo quello di sfruttare al massimo lo spazio per massimizzare i guadagni, rovinando per sempre il più famoso scorcio di Parma...".
Se lo domandava allora, ma ora non più. Proprio adesso che quelle sue domande dovrebbero affliggerlo ancor più visto che ora quello scempio non sarebbe più solo ambientale, ma anche storico e archeologico.
 Voce 26.05.15
   

UN MOSTRUOSO ABBRACCIO MORTALE

  Nel momento in cui Ferdinando Carretta torna definitivamente  libero, dopo quasi otto anni di internamento nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere e altri nove in libertà vigilata in una comunità nei pressi di Forlì (provvedimenti conseguenti alla sentenza emessa il 15 novembre 1999 dalla Corte d'Assise di Parma che lo ha ritenuto autore della uccisione il 4 agosto 1989 del padre, della madre e del fratello, assolvendolo, però, perché incapace di intendere e di volere), ripropongo il mio articolo, pubblicato sul Giornale di Parma il 10 novembre 1999, dopo la prima udienze del processo. Articolo che costrinse il presidente della Corte d'Assise Piscopo a chiamare a testimoniare Giuseppe  Zavaroni, incredibilmente escluso dal Pm Brancaccio dalla lista dei testi poiché rappresentava l'unico ostacolo alla "verità" che si voleva rappresentare con quella inverosimile pagliacciata tele - giudiziaria. Dopo oltre tre lustri mentre Ferdinando torna libero di godersi il frutto della strage (la sua riapparizione immediatamente prima di essere dichiarato "morto presunto" e la sua strategia processuale finalizzata alla assoluzione per incapacità di intendere e di volere fanno pensare che tutto fosse, tranne che matto), cioè l'eredità dei suoi familiari assassinati, rimangono tutti gli interrogativi. Primo fra tutti: dove sono i tre cadaveri visto che almeno quella di averli sepolti nella discarica di Viarolo era una balla? Perché,  dopo aver tolto loro la vita, vuole negare ad essi anche una cristiana sepoltura?  
  Incredibile. Assurdo. Allucinante. Sconvolgente. In tribunale, a Parma, nell’aula delle udienze penali, avanti a due magistrati togati e a sei giudici popolari, è stata allestita una delle rappresentazioni giudiziarie più mostruose mai viste in Italia. Una mostruosa messa in scena che non prevede, però, la esibizione del “mostro”, inventato e creato un anno fa e ora tenuto prudentemente nascosto, forse per evitare che possa difendersi e cercare di liberarsi da quella gabbia infernale che gli hanno costruito addosso.
Sto parlando, naturalmente, del dibattimento in corte d’assise  a carico di Ferdinando Carretta, accusato del triplice omicidio premeditato del padre, della madre e del fratello. Un processo che esprime una abnormità giuridica mai vista prima. La difesa (un avvocato romano che si sussurra sia pagato dalla Rai) e la pubblica accusa incredibilmente abbracciati nella stessa strategia processuale: cercare di far credere alla giuria popolare che Ferdinando è “il mostro”. Che è stato lui, senza ombra di dubbio, a sterminare la sua famiglia. Con un’arma, poco più che un giocattolo, che, ha dichiarato in aula l’armaiolo che l’ha venduta, non aveva nemmeno la potenza necessaria per forare un cappotto. Per loro, accusa e difesa congiunte, è certo che Ferdinando ha fatto questo massacro. Egli, però, è colpevole ma non punibile perché è un folle incapace di intendere e di volere.
Vi saranno delle prove schiaccianti che inchiodano Ferdinando a questo ruolo di “mostro” per suggerire una strategia difensiva così al limite del suicidio, penserete voi. No, nemmeno una prova. Non ne hanno trovato nemmeno una. “Senza la sua confessione”, ha ammesso l’avvocato difensore Dinacci nel corso della prima udienza, “questo processo non si sarebbe nemmeno celebrato, perché vi è una strage che non è basata su nulla, non essendo stati trovati né i cadaveri, né l’arma del delitto, né il movente”. Anzi, il movente c’è, ha spiegato l’avvocato romano, e va ricercato nella follia di Ferdinando Carretta. Una tesi folle, a sua volta, aberrante, se consideriamo che viene  teorizzata da un avvocato che anziché perseguire una assoluzione piena per l’imputato Ferdinando, sta cercando di aprirgli invece le porte del manicomio giudiziario per una decina di anni.
Ma dove sono andate a finire tutte quelle prove sbandierate dal maresciallo Manoli, dal pubblico ministero  dottor Brancaccio e dalla Gazzetta di Parma? Tutte quelle “prove” che avevano spinto il direttore del giornale degli industriali ad affermare categoricamente il 30 novembre 1998: “Ferdinandoè un assassino”. Dove sono andate a finire? E tutte quelle altre che ogni giorno lo stesso quotidiano tirava fuori dalla discarica di Viarolo, dove l’unica cosa certa era invece che si sotterravano centinaia di milioni di lire del contribuente?
E vi ricordate la buffonata di quella gocciolina di sangue misto che Gazzetta e company avevano sbandierato come madre di tutte le prove perché addirittura in essa era confluito il dna di tutti gli assassinati? Adesso che siamo al dunque, davanti a una giuria popolare, di tutta questa pagliacciata non è rimasto nulla. Niente di niente.
La cosa più incredibile, però, è che dopo essersi reso conto che la pubblica accusa non ha nulla in mano per attribuire una strage a Ferdinando, l’avvocato difensore del Carretta, anziché fregarsi le mani e approfittare di questa situazione che porterebbe dritto dritto il suo assistito ad una assoluzione piena, per non aver commesso il fatto, continua ad andare avanti sulla strada già tracciata. E si unisce al Pm Brancaccio nel sostenere un teorema accusatorio che fa acqua da tutte le parti, limitandosi a chiedere la non punibilità del “mostro” per incapacità di intendere e di volere al momento del confessato famiglicidio.
L’avvocato difensore non ha dubbi. Proprio come Brancaccio è sicuro che Ferdinando è quel mostro che ha sterminato la sua famiglia. E’ un mostro perché ha confessato di esserlo. Una confessione tanto più sicura perché è stata trasmessa in diretta televisiva. Perché mai si dovrebbe rimettere in discussione ora quell’agghiacciante documento filmato? Nei confronti di una “verità” televisiva, cosa possono valere i principi giuridici vigenti in tutti gli stati di diritto dopo l’abolizione della Santa Inquisizione che affermano solennemente che le auto accuse non valgono una cicca se non supportate da riscontri oggettivi?
Sarebbe proprio un gioco da ragazzi smontarla pezzo per pezzo quella confessione. Ci riuscirebbe un qualsiasi avvocatucolo anche di primo pelo. Ma invece deve essere tenuta ferma, immutabile. E’ l’unica prova che ha in mano la pubblica accusa, è la ragion d’essere di questo processo. Non si ritiene necessario nemmeno chiamare Ferdinando in aula a ripeterla, parola per parola, davanti ai suoi giudici. Si teme forse che non se la ricordi più? O si teme forse che gli torni in mente la sua prima versione dei fatti, quella raccontata agli inquirenti a Londra, nel primo interrogatorio? Quando disse che lui è i suoi famigliari erano partiti col camper tutti insieme e che erano stati prima in Liguria e poi a Milano dove, dopo avere abbandonato il mezzo, in treno si erano recati in Svizzera per poi raggiungere, sempre tutti insieme e tutti vivi Londra? Si teme questo forse? Che torni a raccontare la verità? Una verità che, per di più, trova un impressionante riscontro nelle clamorose dichiarazioni al nostro giornale di Giuseppe Zavaroni, il quale è pronto a giurare davanti alla Corte d’Assise di avere ospitato l’intera famiglia Carretta nel suo ristorante di Sarzana, in Liguria, quindi, la prima domenica di agosto, quando cioè la strage era stata già consumata.
E’ pronto a giurarlo in corte d’assise Giuseppe Zavaroni, lo ha detto anche alla polizia. Ma non può farlo perché nessuno ha pensato di convocarlo.
Perché mai turbare l’idilliaca strategia dell’accusa e della difesa, avvinghiate nel loro amplesso contro natura, con questo supertestimone che mette in crisi la confessione di Ferdinando, cioè la “madre di tutte le prove” di questo processo?
19 maggio 2015

PIZZAROTTI E L’ULTIMO SCEMPIO DELLA CITTA’ CANTIERE

 C'era una volta Parma.
C'era una volta una città dove il gusto del bello e della storia era un tutt'uno con il Dna dei cittadini.
Si fa un gran parlare in questa campagna elettorale delle grandi opere delle Giunte Ubaldi e Vignali e dell'immobilismo dell'ultima esperienza del centro sinistra.
Forse saremo rimasti tra i pochi nostalgici ma pensiamo che lo scorcio del Lungoparma sia uno dei più belli d'Italia, paragonabili forse a quelli di Firenze e Verona.
Non ce ne vogliamo gli architetti ma dopo aver visto il rendering dei nuovi edifici che sorgeranno nell'area dell'ex anagrafe, edifici alti 14 metri di 3 piani con attico non possiamo che parlare dell’ennesimo scempio paesaggistico di Parma, ancora peggiore perchè perpetuato ai danni del Centro Storico. Ennesimo perchè già ora è sufficiente fermarsi sul lungoparma all’altezza della Nuova Ghiaia e osservare gli edifici storici che si affacciano sull'ex parcheggio dall’altra parte del torrente su cui dovrebbero sorgere i nuovi palazzi. In quella zona, per rispetto dell’armonia architettonica degli edifici esistenti, non si dovrebbe costruire nulla.
Ma nulla, in questa città, si impara dagli errori. Eppure la copertura di Piazza Ghiaia già impedisce la visuale degli edifici storici che si affacciano sulla stessa piazza. Ci domandiamo come sia possibile che la sopraintendenza possa permettere la costruzione di questa ennesima colata di cemento e vetro che ha come unico scopo quello di sfruttare al massimo lo spazio per massimizzare i guadagni, rovinando per sempre il più famoso scorcio di Parma. Direte, l'hanno già fatto con il Ponte Nord, ma questo è molto peggio, uno scempio nel bel mezzo della parte storica della città, una vera e proprio ferita e non bastano certo le immagini di rendering con gli edifici coperti di rampicanti verdi per nasconderlo. Quando parliamo di democrazia partecipata, esiste anche la programmazione urbanistica partecipata, se i cittadini avessero visto queste immagini cosa avrebbero detto, avrebbero approvato questo progetto? Il MoVimento 5 Stelle di Parma chiede quindi a tutta la stampa della città di pubblicarne le foto a tutta pagina, che i cittadini giudichino con i loro occhi, l'ultima, speriamo, grande opera di trasformazione della città cratere.
Il Candidato Sindaco
                 Federico Pizzarotti

Quando mi è tornata sotto mano questa lettera che il candidato sindaco Federico Pizzarotti inviò alla stampa nel marzo 2012, sollecitando i giornali a pubblicare le foto dei palazzoni che avrebbero dovuto sorgere sulle macerie dell'ex Anagrafe, definiti "ennesimo scempio paesaggistico di Parma", mi sono domandato, cari lettori, se Federico Pizzarotti, divenuto ora  sindaco di Parma, tornerebbe a firmare una missiva come quella ferocemente ostile al suo omonimo Paolo Pizzarotti, uno dei più attivi palazzinari e cementificatori di questa nostra povera città messa in ginocchio dalla demenziale (e per certi versi delinquenziale) "città cantiere" di Elvio Ubaldi, giustamente spregevolmente ribattezzata dall'allora aspirante sindaco "città cratere".
Mi sono domandato se Federico Pizzarotti riscriverebbe quelle righe dopo avere provato l'ebbrezza del potere e l'emozione di quella vergognosa (a mio giudizio, ovviamente) passeggiata - poco dopo la sua miracolosa elezione targata Beppe Grillo - fianco a fianco col suo omonimo palazzinaro in occasione della inaugurazione di ponte nord "abitato dai fantasmi", che rimane tuttora, a mio avviso, l'ineguagliato monumento alla imbecillità e allo spreco partorito dalla grandeure parmigiana del "piccolo zar di provincia".     
E me lo sono domandato, soprattutto, al ricordo della entusiastica accoglienza riservata al sindaco lo scorso anno nell'assemblea dei confindustriali locali, con applausi a scena a perta che, come il bacio di Giuda, suggellavano e materializzavano  il tradimento delle rivoluzionarie promesse di cambiamento esternate in campagna elettorale dall'aspirante sindaco e, quel che più conta, certificate personalmente e pubblicamente  da Beppe Grillo nel corso dei suoi oceanici comizi in Piazzale della Pace. Applausi confindustriali che rappresentavano il riconoscimento del gradimento della continuità e della contiguità del nuovo primo cittadino con le amministrazioni ubaldiane completamente sottomesse ai diktat della congregazione di via al Ponte Caprazucca.
Non ci può essere sovrapposizione, unicità intellettuale, a mio avviso, cari lettori, fra l'aspirante sindaco che si scagliava contro i palazzinari che deturpavano la città con colate di cemento e il sindaco che riceve elogi e applausi da quegli stessi cementificatori che hanno portato Parma sull'orlo del baratro finanziario in simbiosi mutualistica con politici eamministrazioni pubbliche addomesticati e sottomessi ai propri interessi con enorme sperpero di pubblico denaro.
Come si può credere che quel Federico Pizzarotti che scriveva quella stupenda dichiarazione di affetto per questa nostra martoriata città sia ancora  lo stesso che ora sta facendo pagare il prezzo di ponti abusivi e sbilenchi, passerelle ciclopedonali, scempi tentati o riusciti di Piazza Ghiaia e dell' Ospedale Vecchio, progetti faraonici demenziali abortiti di metropolitane e di tunnel sotto la città, truffaldine compravendite di terreni nello Spip, ecc. ecc., ecc, ai cittadini con le gabelle più alte d'Italia, anziché addebitare quell'immenso sperpero di denaro pubblico ai cementificatori che quelle opere inutili avevano voluto?    
12 maggio 2015

GRANDI IDEE “BRUCIATE” DA APPRENDISTI STREGONI

Non è piacevole, per me, cari lettori, stilare un bilancio dell'amministrazione pizzarottiana tre anni dopo il miracolo di quel trionfo elettorale che tante speranze e tante illusioni aveva suscitato dopo quasi tre lustri di nauseabondi governi ubaldiani. Non è piacevole, per me, perché quando ormai il giro di boa della legislatura è abbondantemente passato, vorrei che questa mia penna potesse sprigionare gioia e  raccontare una stagione passata esaltante e un programma futuro avvincente  di cose ancora da fare.
E invece mi ritrovo qui a dover prendere atto, con una tristezza e un rammarico infiniti, di una irripetibile occasione perduta.
Avevo creduto nella rivoluzione grillina in modo probabilmente eccessivo, spropositato e la delusione, adesso, è molto forte e assomiglia quasi a un tradimento amoroso.
Federico Pizzarotti e i suoi volenterosi ragazzi hanno tradito in pieno le aspettative di tutti coloro che, votandoli, avevano creduto di voltare finalmente pagina nel governo di una città soggiogata dai poteri forti, dalla massoneria e dalla mafia dei colletti bianchi.
L'esordio del sindaco, per la verità, non aveva fatto presagire cambiamenti epocali. Correre a inaugurare, solo poche settimane dopo la sua elezione, un monumento alla idiozia umana come il ponte nord che può essere abitato solo da fantasmi, ultimo prodotto della megalomania ubaldiana e dello sperpero di denaro pubblico (cinquanta miliardi di lire), mi aveva fatto pensare che quanto meno la partenza fosse avvenuta col piede sbagliato. Ma il peggio doveva ancora venire. Non si trattava dell'errore del principiante, ma il primo passo verso il tradimento di quelle speranze di cambiamento  che gli oceanici comizi parmigiani di Beppe Grillo avevano promesso.
Non si trattava soltanto - unica promessa mantenuta - di vedere al governo della città degli amministratori onesti. A Parma non avevamo soltanto bisogno di cacciare dei ladri dal palazzo dove si amministra la cosa pubblica.
C'era bisogno di una rivoluzione a 360 gradi. C'era bisogno di un sindaco che prendesse le distanze, con disprezzo, da chi aveva malgovernato negli anni precedenti, da chi aveva rubato e dilapidato le ricchezze della città. C'era bisogno di un sindaco che anziché cercare applausi alle assemblee confindustriali, rimediasse in quei consessi fischi e insulti per avere fatto pagare ad essi, a lor signori, i debiti procurati alle casse comunali da decenni di politiche a favore dei cementificatori e dei palazzinari cittadini. Avevamo bisogno di un sindaco che andava a cercare gli applausi fra i suoi cittadini, la gente comune, soprattutto quella più colpita dalla spaventosa crisi procurata - e forse programmata ad arte - dal capitalismo senza freni e da quella piovra finanziaria che ha bisogno di crisi cicliche per riprodursi e imporre sempre più la propria supremazia. Un sindaco che cercava fra i meno abbienti quei consensi e quegli evviva che è invece andato a raccogliere nel mondo imprenditoriale e bancario, dopo avere scaricato sulla popolazione più debole l'onere di ripianare un debito spaventoso messo insieme dalle città cantieri, dagli sperperi e dalle ruberie.
A ripianarlo saranno i parmigiani più deboli e indifesi, pagando le gabelle più alte d'Italia e subendo odiosi provvedimenti come quello della riduzione dei servizi per i disabili o delle scuuole per l'infanzia.
Per fortuna, però, il tradimento del movimento grillino è solo parmigiano perché,  a livello nazionale, gli eletti in parlamento hanno saputo mantenere fede alla parola data e a mantenere la schiena dritta.
Il consenso  popolare dilapidato da Federico Pizzarotti in questi tre anni di politica di appiattimento sui poteri forti lo si è toccato con mano nei giorni scorsi, quando meno del due per cento dei parmigiani è andato a votare i propri rappresentanti dei quartieri. Un clamoroso flop che rischia di distruggere sul nascere - perché attuata in malo modo da politici che paiono apprendisti stregoni - quella grande idea di rappresentanza diretta popolare che rappresenta il punto più qualificante ed elevato  del movimento di Beppe Grillo.
Un sindaco che sperpera denaro in viaggi orientali per sponsorizzare i prodotti della Barilla, che promette decine di migliaia di euro per tenere in piedi un aeroporto decrepito  senza passeggeri, che non chiede scusa per avere regalato quasi un milione e mezzo di euro a un industralotto venuto da Brescia per rovinare Parma Calcio, è probabilmente ritornato a godere di quel consenso (circa il 2 per cento) che aveva prima di ottenere l'appoggio e il gradimento di Beppe Grillo, anch'essi miseramente e stupidamente svaniti. 
4 maggio 2015

giovedì 30 aprile 2015

LIBERIAMOCI DA QUELLE BANDE DI TRAFFICANTI CHE GOVERNANO UNO STATO LIBERATO DAI NOSTRI PADRI


"Anche dopo la Risurrezione di Gesù, le croci non sono diminuite, anzi la cattiveria umana, allergica all’amore, le ha moltiplicate. Ed ecco allora la vergogna della tortura a Genova nel 2001 e tuttora in Italia e in altre parti del mondo, contro credenti e innocenti. Io a Genova c’ero, vicino a don Andrea Gallo; travolti dalla massa, qualcosa di quel dramma abbiamo potuto vedere e constatare: quando c’è di mezzo il potere in divisa, non è mai colpa di nessuno, non è stato nessuno. Un’altra croce innalzata è l’odio contro i diversi, i rom in modo particolare. Anche la politica diventa ferocia e fa dire a un politico razzista: «Occorre radere al suolo tutti i campi rom». Ci si dimentica, per propaganda stupida e assurda, che 4 rom su 5 vivono in regolari abitazioni, studiano e lavorano come tutti. Ma alcuni rubano! Quanti Italiani lo fanno: è lo sport più praticato da dirigenti di azienda, da politici, da mafiosi e da tanti disonesti".


Per ricordare e onorare il settantesimo anniversario della Liberazione dall'oppressione nazifascista, prendo a prestito, questa settimana, questa bella descrizione di questa nostra Italia attinta dalla domenicale omelia del nostro Luciano Scaccaglia, che, per quanto ne so io, è rimasto per tutti questi anni fedele a quegli ideali di libertà. di democrazia e di fratellanza che ci consegnarono - con un ideale passaggio di testimone -  i nostri padri che allora rischiarono la vita per affidarci uno Stato e una società fondata su quei valori universali.


E mentre scrivo queste righe mi riallaccio anche alle parole del giornalista del Corriere Aldo Cazzullo che, presentando l'altra sera  un suo libro sulla Resistenza in un salotto televisivo, ha detto  con rabbia: "E' una vergogna un' Italia come questa che ha tradito la lotta e il sangue versato da quegli eroi che settant'anni fa ci hanno liberati dai nazifascisti".
Anch'io, cari lettori, mi vergogno di vivere in uno Stato come questo che quegli eroi della Resistenza, quegli angeli della libertà, ci avevano consegnato pulito e depurato col loro sacrificio e  col loro sangue.
Mi vergogno e chiedo perdono a quelle centinaia di migliaia di uomini e donne, che donarono alcuni degli anni più belli della loro giovinezza, per non essere riuscito ad impedire che si impadronissero di quelle loro conquiste bande di politici criminali col doppio petto e col colletto bianco che piano piano, quatti quatti, poco alla volta, un pezzetto al giorno, sono riusciti a toglierci quella libertà e quella democrazia conquistata dai nostri padri a caro prezzo.


Settant'anni dopo quel glorioso 25 aprile 1945, ci ritroviamo con una democrazia mutilata, con lo stato sociale smontato pezzo per pezzo  e con libertà fondamentali come quella di espressione proclamate solo sulla carta, sui codici, ma annichilite dentro i tribunali.
Ci ritroviamo a Roma con un dittatoretto da strapazzo - autentica caricatura mussoliniana - salito al potere grazie ad una legge elettorale truffaldina, dichiarata anche formalmente incostituzionale da una manica di giudici di una Corte Costituzionale che hanno impiegato quasi vent'anni per rendersi conto che il porcellum rappresentava un insulto a quei partigiani che avevano combattuto la dittatura nazifascista perché permetteva a un manipolo di capi partito, o, per meglio dire, ad alcuni  capi banda, viste le ruberie  alle quali erano dedite le lroo formazioni politiche corrotte, di nominare deputati e senatori, anziché eleggerli.


Una situazione vergognosa che ci vede in Europa al primo posto della corruzione politico - amministrativa e a uno degli ultimi, nel mondo, nella classifica della libertà di stampa. E questo dittatoretto da strapazzo, che appare ogni minuto del santo giorno in televisione a divulgare il suo verbo, segue a ruota un'altro dittatoretto "democrratico" che in vent'anni di governo ha semplicemente potuto fare i cazzi suoi: leggi ad personam o per i suoi affari, le sue aziende, le sue donne.


E venendo all' orticello parmigiano, vicino a casa, la musica non è cambiata. Qui dalle nostre parti, cari lettori, mi sembra emblematica la storia di due Elvio Ubaldi di Vigatto. Il primo, coetaneo di mio padre, per liberaci ci lasciò le penne ed oggi è uno di quei martiri della Resistenza davanti ai quali tutti noi dobbiamo inchinarci.  Costui lasciò in eredità la libertà e la democrazia conquistata a un altro Elvio Ubaldi da Vigatto, suo nipote. E questi, divenuto sindaco di Parma, dimenticò la retta via tracciata dallo zio e, esibendo doti e propensionii da zar e faraoni, sperperò ingenti quantità di denaro pubblico con opere assurde e inutili come la metropolitana (fortunatamente abortita) e il ponte abitato dai fantasmi a nord sulla Parma.


Settant'anni dopo la Liberazione, quindi, dobbiamo solo vergognarci e chiedere perdono agli eroi della Resistenza per avere permesso, noi, vivi e vegeti, a politicanti di ogni razza, spuntati da ogni dove come funghi, di dilapidare quel patrimonio ideale e politico conquistato in quei giorni contro l'oppressore nazifascista.
E io prima di tutti voglio dire grazie e chiedere perdono a Valentina Guidetti, quella ragazzina che nella foto grande è raffigurata in questa pagina vicino a mio padre e che morì trucidata da pugnalate  nazifasciste dopo essere stata catturata  mentre portava ordini ad altra formazione partigiana. 


NON E' UN PONTE MA UNA NUVOLA DI VETRO CON UNA GRANDE ANIMA

"Giungiamo al termine di un percorso importante e lungo. È' un progetto doppio, perché non solo realizziamo un ponte che serve alla città, ma abbiamo evitato di fare un ponte banale, ne abbiamo voluto uno che sopra avesse funzioni, una moderna rilettura del ponte Vecchio fiorentino. Il progetto è ambizioso: Il centro dovrà divenire l'eccellenza internazionale su tutto ciò che riguarda il cibo italiano; non è quindi una struttura che creiamo solo per Parma o solo per l'Italia. Quando sarà pronto anche il progetto di dettaglio, faremo una grande presentazione agli opinion leader di Parma e non solo. D'ora in poi non si ragionerà più sul 'ponte degli scatoloni', ma su una grande nuvola di vetro, di cristallo con una grande anima".


Se i parmigiani avessero un po' di memoria, o semplicemente leggessero, oltre alla pagina dei morti, anche le altre pagine del foglio mortuario degli industriali di Parma, ricorderebbero le "canelle" (traduzione italiana dal vernacolo locale) e le commediografiche arrampicate sugli specchi che i politici inventano e raccontano loro di volta in volta per giustificare il trasferimento di denaro (detto anche prelievo forzoso gabellare) dalle loro tasche (dei cittadini) a quelle capienti dei cementificatori che hanno vinto (o vinceranno) le gare per costruire  certe mega porcate ed eviterebbero di cascarci una seconda, terza, quarta volta, quando il giochino sporco inevitabilmente si ripeterà.
E la seconda volta (al massimo la terza) si recherebbero sotto  i Portici del Grano, non con le pentole a far chiasso, come accaduto qualche anno fa quando cacciarono Vignali, ma coi forconi urlando: "adesso basta ladroni, stop, ci avete rotto il cazzo".


Andandolo a rileggere in questi giorni, cari lettori, devo dire che quel sermone, perdon, quella "lectio magistralis"  recitata  "urbi et orbi" quel 20 febbraio 2007 dal tanto compianto (dagli industriali di Parma, non certo dai cittadini vittime della sua "città cantiere") per incantare il popolo bue, ha evidenziato le uniche doti  che erano rimaste un po' in ombra del piccolo zar di provincia: Ubaldi era anche un poeta, un sommo poeta, direi.  Quella definizione di "nuvola di vetro con una grande anima" per nobilitare quella schifezza architettonica che poi, purtroppo si è materializzata e ora è sotto gli occhi di tutti, meriterebbe di finire scolpita in una lapide marmorea, con la foto di Elvio, da incorporare alla vetrata d'ingresso del ponte "abitato" (dai fantasmi). A futura memoria di come venivano sputtanati i soldi dei cittadini in quegli anni di fine e inizio secolo, con opere non solo inutili e obbrobriose, ma anche abusive e dannose, al solo scopo di arricchire palazzinari che in questa povera città facevano (e fanno) il bello e il cattivo tempo, grazie ad una classe politica corrotta e a un Tribunale vergognosamente asservito a quegli interessi privati.


Di Elvio Ubaldi erano noti  due complessi esistenziali: non essere riuscito a laurearsi e non essere un parmigano del sasso, ma un "villan rifatto" arrivato a Parma dal vicino paesello di Vigatto. Al primo rimediava facendosi chiamare dottore. Le origini paesane gli bruciavano ancor di più. Al complesso del "paesello", della carente parmigianità doc rimediava con le grandi idee che poi si riversavano nelle grandi opere, finendo per fargli credere veramente di essersi reincarnato nei faraoni egizi.. 
Sì, cari lettori, Elvio pensava in grande e purtroppo per i poveri suoi sudditi non si fermava lì, ma traduceva i suoi pensieri in opere faraoniche di cui sono rimaste tracce indelebili come il maestoso ponte "fallico" (detto anche ponte Ridolini) per passare pochi metri, da una riva all'altra della Parma, a sud della città. Come  la  pantagruelica ciclopedonale per superare  i  cinque o sei metri da un lato all'altro della via Emilia. O come la fortunatamente abortita, grazie a Vignali, metropolitana che il mega cervello di quell'uomo aveva progettato per una città conigliesca, che in pochi anni avrebbe triplicato i suoi abitanti.


E, dulcis in fundo, il nostro obbrobrioso ponte nord. Perdon, quella deliziosa "nuvola di vetro con una grande anima" che in quest'anno di grazia 2015 dell'Expo e del Giubileo - tutto il mondo potrà venire ad ammirare estasiato. E non c'è dubbio che la sua mente partorì questa idea geniale per allargare al mondo una città come Parma che gli stava troppo stretta, pensando proprio all'expo universale di Milano. Doveva essere quello il suo riferimento, quando descriveva l'ambizioso progetto di un manufatto non banale, ma una "moderna rilettura del ponte Vecchio fiorentino". con al centro "l'eccellenza internazionale su tutto ciò che riguarda il cibo italiano". Un ponte che avrebbe dovuto proiettare Parma non solo in Europa (anche quella gli stava troppo stretta), ma nell'intero universo. Con l'ovvia conseguenza che  "non è quindi una struttura che creiamo solo per Parma o solo per l'Italia".


In qualsiasi altra parte del mondo, udite quelle parole, lo avrebbero trattato come un visionario, preso e rinchiuso da qaulche parte per impedirgli di fare dei danni, soprattutto perché anche i bambini sapevano che non si possono costruire abitazioni negli alvei dei fiumi. A Parma, invece, quel discorso farneticante diventò un'enciclica. E la stampa padronale si scatenò facendo a gara a chi lo magnificava ed esaltava di più. Non ho voglia di andarmi a rileggerre, cari lettori, le cronache di quei giorni, ma sono certo che sulla stampa scritta e parlata si sprecarono espressioni e titoloni come: "Ubaldi proietta Parma nel futuro", oppure "Un ponte di Parma verso il mondo". "Dopo quello di Neil Armstrong sulla luna, il passo di Ubaldi nell'universo". E roba di questo genere.
Ma quello che è peggio è che da Roma, la capitale dello Stato più corrotto d'Europa, non mandarono a Parma ambulanze e  barellieri, ma 25 milioni di euro per co struire un'opera abusiva, sull' alveo della Parma che è lì da vedere.  

UNA PASQUA TRISTE NEL PAESE DEI TAROCCHI

Sono d'accordo anch'io con l'amico dottor Ennio Mora che ritiene che anche sotto Pasqua si possa essere cattivi. E vi confesso, cari lettori, che le cose che stanno succedendo in qaesta città da un po' di anni a questa parte mi impediscono anche in questa occasione di festeggiare la Resurrezione di Cristo esternando dei buoni sentimenti.
Io non so se i parmigiani si siano assuefatti o siano sul punto di assuefarsi al marciume e al merdaio nel quale i poteri forti e la classe dirigente che detengono il potere hanno sprofondato questo ex ducato di Maria Luigia. Quello che è sicuro è che io fino ad oggi (del doman non v'è certezza), cioè fino al momento in cui scrivo queste righe in questo quindicesimo anno di vita di questo nostro piccolo grande giornale, non riesco proprio ad adattarmi. Non riesco proprio ad adeguarmi. Non riesco ad assuefarmi.

Non riesco a normalizzarmi. Non riesco a farmene una ragione. Non riesco proprio a gettare la spugna, a genuflettermi davanti a lor signori e, offrendo docilmente tutto me stesso, sia il davanti, sia il dietro, pronunciare la frase garibaldina  che a loro piace tanto: "Ok, ho capito. Adesso basta. Obbedisco!"  
Sarà forse perché le nefandezze accadute in questa nostra città io ve le ho dovute raccontare e descrivere settimana per settimana in questi lunghi tre lustri, senza riuscire a metabolizzarle, a digerirle. Sarà forse perché i precetti cristiani che mi ha inculcato mia mamma fin dalla culla mi impediscono di tollerare la prepotenza e la violenza dei forti nei confronti dei deboli. Sarà forse perché  l'esempio di mio padre, ccomandante partigiano contro l'oppressore nazi fascista rischiando la vita quando aveva poco più di vent'anni, mi tormenta sempre di più col passare del tempo.


Saranno forse questi e altri i motivi che mi spingono ancora oggi a ribellarmi allo "statu quo nunc" (stato di fatto) che la cupola massonico - mafiosa denominata Upi (Unione Potentissimi Intoccabili), che tiene in pugno questa città, vorrebbe imporre ai propri sudditi.
Soprattutto non riesco a sopportare quel "paese dei tarocchi" nel quale lor signori hanno trasformato questa nostra città, elevandola ad esempio mondiate di malaffare e di pratiche truffaldine.
Senza l'esempio dei ragionieri della Parmalat che riuscirono a taroccare i bilanci per oltre un decennio, inducendo decine di migliaia di persone a farsi depredare i risparmi di una vita in cambio dei famigerati bond carta straccia, non sarebbe mai venuto in mente ad Elvio Ubaldi di inventare decine di società fantasma (cosiddette partecipate) ove occultare le passività,  riuscendo così, grazie ad esse, ad aggirare le leggi di stabilità, a costruire sui debiti la sua inutile "città cantiere" e a taroccare i bilanci del Comune, portandolo sull'orlo del dissesto finanziario.


E senza il loro esempio (dei taroccatori della multinazionale di Collecchio e delle scatole cinesi ubaldiane) non sarebbe mai venuto in mente al faccendiere Manenti di pensare di riuscire a comprare una società di calcio come il Parma, gravata da oltre 200 milioni di debiti, prima sborsando la megagalattica cifra di un euro e poi di pagare gli stipendi milionari ai calciatori con prelievi bancari truffaldini tramite computer.
Che problema c'è?, deve avergli detto il capo banda della sua banda di truffatori. Se per tanti anni la Procura di Parma ha chiuso gli occhi sui bilanci truccati di Tanzi e su quelli quelli di Ubaldi e di Vignali e su quelli della Cooperativa Di Vittorio di Fidenza, perché dovrebbe accorgersi dei nostri trucchi che sono all'avanguardia della tecnologia cibernetica?


Una banda che deve anche aver saputo di come siano stati perseguiti penalmente in quel di Parma i truffatori di denaro pubblico  sulle aree della Spip, acquistate e rivendute lo stesso giorno con surplus da capogiro a beneficio di importanti personaggi locali. E di come siano stati perseguiti (e fottuti in galera) gli amministratori comunali ideatori e committenti (il solito Ubaldi), i progettisti (un architetto politicante forzitaliota) e i costruttori (fra i quali il re del cemento parmigiano) del Ponte abitato a nord sulla Parma che, come sapevano anche i bambini, e come abbiamo scritto noi decine di vole prima che venisse edificato, era ed è illegale, illegittimo, abusivo poiché le norme vigenti vietano tassativamente di  costruire abitazioni sugli alvei dei fiumi. Un'opera che solo in una città come Parma, dove operava, fino alla nomina del nuovo procuratore, un Tribunale al servizio dell'Unione Potentissimi Intoccabili, non ha visto perseguire la banda di criminali che l'hanno costruita con i soldi pubblici sottratti ai bisogni della parte più debole dei cittadini.


Con la speranza che il nuovo Procuratore si interessi finalmente di questo obrobrio architettonico abusivo.
Il neo presidente del Parma Calcio Manenti, prima di pensare di venire qui a comprare il Parma senza il becco di un quattrino, deve avere anche fatto affidamento sulla notizia, pubblicata dalla nostra Voce in esclusiva che l'appalto di una settantina di milioni, riguardante il teleriscaldamento, affidato da Enia alla Bonatti, era truccato e che la Procura della Repubblica aveva appreso in tempo reale dalle intercettazioni della Guardia di Finanza, tutte le manovre del taroccamento. Anche in questo caso senza poi muovere un dito.



Evidentemente, così come il collodiano paese dei balocchi attirava i bambini che marinavano la scuola, la fama mondiale acquisita da Parma come paese dei tarocchi attira come una calamita tutti coloro che vogliono sperimentare anche le più innovative e  avveniristiche tecniche truffaldine, facendoci credere, come aveva creduto Pinocchio, di poter far crescere  una pianta stracolma di euro dopo averne messo uno in una buca scavata in un prato. 




LE ASSICURAZIONI COLLUSE COI POTERI FORTI

        Non paga di avere divulgato ai propri edicolanti associati il diktat di rimuovere dalle nostre locandine un richiamo ad un articolo evidentemente sgradito al foglio mortuario degli industriali di Parma, la sedicente sinistrorsa Confesercenti ha rincarato la dose indirizzando, poco dopo, una seconda missiva contenente una demenziale giustificazione di quel vergognoso attacco alla libertà di stampa. Con in più false accuse a un "responsabile della Voce di Parma" (il sottoscritto, tanto per chiarirci) di avere intimidito e minacciato alcuni edicolanti che si erano adeguati a quel minaccioso ordine per evitare chissà quali conseguenze.

Il signor Monteverdi (come già preannunciato denunciato alle competenti autorità insieme alla sua "squadristica" associazione) evidentemente non si è ancora reso conto di quello che ha fatto, della gravità di quell'ordine censorio che non risulta avere precedenti nemmeno in questa città dominata da forze occulte massonico - mafiose che non si sono mai rassegnate alla coesistenza dei loro organi di disinformazione di massa con una stampa impossibile da addomesticare.
Le hanno provate tutte. Non sto qui ad elencarvi, cari lettori, le centinaia di volte che ho dovuto varcare i portoni dei tribunali per difendere me, il mio e vostro giornale e il mio e vostro diritto ad informarvi su quello che realmente succede in questa città, dagli attacchi e dalle denunce di quella cupola massonico - mafiosa che in tutti questi anni ci ha visto come il nemico pubblico numero. Da eliminare e annientare a tutti i costi.


Ci dovevano sopprimere perché denunciavamo i loro scandali e, soprattutto, la criminosa commistione fra interessi privati e soldi pubblici che ha fatto ingrassare palazzinari e cementificatori e portato sull'orlo del baratro finanziario il nostro Comune.
Il Ponte Nord (dei fantasmi) sulla Parma è solo l'ultimo degli eco mostri che sta a dimostrare come hanno potuto ingrassare certi costruttori con il pubblico denaro sottratto da politici corrotti ai bisogni della popolazione, specialmente di quella più debole e indifesa. Una costruzione abusiva e aberrante che in qualunque altra parte della terra avrebbe cacciato in galera politici, progettisti e costruttori e che invece ancora oggi è lì a dimostrare l'impunità garantita  a certi signorotti della città da un Tribunale e una Procura collusi con i potenti e i prepotenti. 


La vergognosa censura ordinata dalla Confesercenti ai suoi edicolanti associati dimostra una volta di più la collusione coi poteri forti di quella che una volta era a pieno titolo la sinistra parmigiana. Anziché difendere gli interessi dei suoi associati contro il colosso editoriale confindustriale, questa sedicente associazione sinistrorsa si scaglia, agitando la bandiera del totalitarismo, contro l'unica minuscola  realtà editoriale che a mama pena scalfisce il monopolio del colosso confindustriale. Un a obrobriosa alleanza, questa, un tempo considerata contro natura, che non rappresenta certo una novità ma che si proietta sulla base dall'alto, da un partito, il Pd, che a Parma e in Emilia ha perso ogni contatto con i ceti popolari.


E la gente comune lo sa. Lo ha ben capito quando alle ultime elezioni comunali ha trombato il signor Vincenzo Bernazzoli, uomo di punta del partito democratico locale e, al tempo stesso, candidato più gradito dall'Unione Parmense Industriali. E anche quando, qualche mese fa, ha protestato contro questi faccendieri "rossi" della politica nella regione più "rossa" d'Italia, con un clamoroso sciopero elettorale. 

I BRAGHETTONI ALLA PARMIGIANA

E' lui, Ernesto Monteverdi (la foto in camicia nera e in posa mussoliniana è tratta dall'archivio ed è puramente casuale), il "Braghettone" di Parma. Cioè l'emulo, quasi cinque secoli dopo, di quel Daniele da Volterra, allievo di Michelangelo, che nel 1564 eseguì l'ordine del Papa Pio IV di "coprire le parti pudende" (cioè gli organi genitali) del Giudizio Universale, nella Cappella Sistina, per evitare che le nudità dei personaggi potessero suscitare pensieri immorali. Così il buon Daniele mise le mutande ai nudi di Michelangelo, e per quest’impresa è passato alla storia col soprannominato Braghettone.
Della serie "in questa città il peggio non tocca mai il fondo", vi devo raccontare, cari lettori, la storia di questo finora a me ignoto signore, il "braghettone" di Parma, appunto, che venerdì scorso ha avuto la fascistissima idea di inviare a tutti gli edicolanti aderenti alla Confesercenti, una mail con l'ordine perentorio ("è necessario rimuovere") di mettere ampie "mutande" (i braghettoni, appunto, di antica memoria) alle nostre locandine, coprendo le "vergogne" in esse rappresentate. E le "parti pudende" della locandina erano rappresentate, per l'occasione dal titolo: "La ricetta Gazzetta per fronteggiare la crisi finanziaria: sostituire i giornalisti con i giornalai".


Un titolo ironico che faceva riferimento alla clamorosa notizia contenuta nel nostro settimanale che il foglio mortuario degli industriali, ormai evidentemente ridotto alla canna del gas, aveva inviato una missiva agli edicolanti invitandoli a collaborare, per rendere più completo e interessante il proprio look , utilizzando un numero verde per inoltrare al giornale notizie, spunti per articoli e inchieste. Una iniziativa, questa, che aveva suscitato fra i giornalai - impegnati in una dura vertenza con l'editore gazzettiero -  insulti, improperi e proteste il cui eco era giunto sino a noi con la richiesta di rendere pubblica quella missiva, firmata dal direttore Molossi e dall'amministratore delegato Montan, ritenuta dai più niente poco di meno che una provocazione. Provocazione dal sapore addirittura beffardo quando gli edicolanti hanno saputo che l'iniziativa era stata appoggiata dalla stessa associazione dei giornalai aderente alla Confesercenti.


Ovviamente noi abbiamo accolto di buon grado la richiesta di aiuto dei nostri amici edicolanti in guerra con il foglio confindustriale accusato di volerli strozzare riconoscendo un margine di guadagno irrisorio sulle vendite, soprattutto di quelle effettuate dietro esibizione della odiatissima card blu.
Il nostro intervento a sostegno della categoria così pesantemente bistrattata ha però suscitato un putiferio di reazioni. La più scomposta e violenta delle quale è stata appunto l'incredibile fascistissimo diktat di censura preventiva, che ogni addetto ai lavori che opera nel mondo dell'editoria dovrebbe sapere essere vietatissimo dalle norme (anche costituzionali) in vigore in Italia dopo la caduta del ventennio fascista. Una incredibile censura preventiva che, tra l'altro, ha avuto un immediato effetto boomerang, smascherando, come detto, la collusione con il foglio cimiteriale cittadino di questo sindacato degli edicolanti aderente ad una organizzazione di ispirazione sinistrorsa che dovrebbe proteggere gli interessi degli esercizi commerciali.


Lo scollamento della "base" da questo sindacato sedicente sinistrorso si è tramutato in un fallimento pressoché totale del sabotaggio di stampo fascista del nostro piccolo grande settimanale. Solo poche edicole, prontamente riprese dal nostro fotografo, hanno aderito in città  alla vergognosa illegittima iniziativa che ha portato allo scoperto l'asservimento di questa Confesercenti agli interessi del colosso editoriale dai piedi d'argilla di via Mantova ed a quelli della casa madre confindustriale di via Al Ponte Caprazucca.
Un fallimento pressoché totale visto che solo in un'edicola, quella di via Solferino, posta di fronte all'alternativa fra il ripristino della legalità con la riesposizione della locandina oscurata e la inibizione alla vendita della nostra Voce, ha preferito continuare ad obbedire al diktat di stampo squadristico, timorosa, evidentemente, della minaccia  di "problematiche future" contenuta nella missiva di Confesercenti sottoscritta dal "brachettone" Ernesto Monteverdi.


I nostri lettori che si recavano in questa rivendita a comprare la nostra "Voce", quindi, fin da questa settimana dovranno rivolgersi ad altra edicola perché noi non accettiamo intimidazioni, sabotaggi, boicottaggi, censure di nessun genere e di nessuna provenienza, men che meno se calate dall'alto di quei palazzi che fino a oggi hanno potuto godere di benevolenza e impunità da parte di chi avrebbe dovuto assicurare e garantire a tutti i cittadini il rispetto della legalità e la par condicio di lavoro e di impresa.
Questa - quella della inibizione a vendere il nostro giornale a chi lo boicotta - è la nostra sanzione ad esecuzione immediata. Quanto al "braghettone" e alla sua associazione di categoria, sarà inevitabile che rispondano del loro attacco alla libera stampa nelle competenti sedi civili e penali.

L'ULTIMA SPIAGGIA DELLA GAZZETTA. SOSTITUISCE I GIORNALISTI CON I GIORNALAI


Vi dico subito, cari lettori, che la notizia più clamorosa di questa settimana non è la scoperta della identità (a noi già ben nota) del pluriergastolano che ha cercato di salvare Tommaso Ghirardi dalle conseguenze (soprattutto penali) del tracollo finanziario del Parma Calcio, inguaiando i vertici della Guardia di Finanza. Nè l'ennesima boccata d'ossigeno che gli stregoni accorsi al capezzale dell'aeroporto hanno deciso di somministrargli, anziché staccargli definitivamente la spina. E nemmeno l'incredibile notizia, che mi auguro sia solo una bufala gazzettiera, che il sindaco Pizzarotti vorrebbe contribuire, con qualche decina di migliaia di euro, prelevati dalle tasche esauste dei contribuenti parmigiani, a questo accanimento terapeutico voluto dai suoi amici (e burattinai) dell'Unione Industriali.

E ciò nonostante casse comunali così vuote da non permettergli di continuare a garantire i servizi essenziali ai disabili o qualche piccolo contributo alle fasce più deboli e indifese dei cittadini che in questo momento stanno tirando la cinghia e soffrendo le conseguenze di una crisi che pare non avere sbocchi.
La notizia più clamorosa è, a mio avviso, quella che anche i vertici del foglio mortuario degli industriali (alias Gazzetta di Parma) si sono finalmente resi conto che questa loro creatura che chiamano giornale è poco interessante e incompleta.
E sapete, cari lettori, qual è la medicina alla quale hanno pensato di ricorrere il direttore Molossi e l'amministratore delegato Montan per rendere "interessante e completo" quello che noi abbiamo sempre definito l'organo di disinformazione di massa dei parmigiani? Semplice. Anzi, elementare: sostituire i giornalisti con i giornalai.

Sì, avete capito bene, cari lettori, una cinquantina di giornalisti professionisti e qualche centinaio di collaboratori non riescono a rendere "interessante e completo" il foglio funerario di via Mantova. E allora ecco estrarre dal cilindro il colpo della genialità: sostituire questi scribacchini di professione, che, tra l'altro, hanno anche il brutto vizio di pretendere di essere pagati, con gli edicolanti, cioè i rivenditori non solo del foglio mortuario, ma anche del nostro piccolo grande giornale. Dai giornalisti ai giornalai, dunque. Questa la miracolosa medicina inventata dai vertici gazzettieri per uscire da uno stato di crisi, proclamato ufficialmente nel settembre 2013, ma risalente a molti anni prima e concretizzato in una drammatica fuga di lettori che hanno abbandonato in massa in pochi anni un giornale che ai tempi di Baldassarre Molossi tirava oltre cinquantamila copie.


Il primo tentativo di bloccare questa diserzione di massa è stato il ricorso più naturale per un foglio cimiteriale: rianimare i morti. Cioè sostituire quelle facce smorte, tristi, piuttosto depresse dei defunti in bianco e nero con quelle sgargianti, sorridenti, soddisfatte, quasi euforiche, dei de cuius a colori.
Niente da fare. Il rimedio, evidentemente non è servito a nulla. Non solo non ha guarito l'ammalato, ma ha aggravato il suo stato di salute facendo incazzare la parte più intelligente e democratica dei pochi lettori rimasti che si era convinta che di fronte alla morte fossimo tutti uguali e che, almeno al momento dell'addio, non dovessero esserci distinzioni fra morti di serie A e morti di serie B.


Ecco allora l'estremo tentativo di rianimare questo foglio facendolo scrivere anziche ai giornalisti ai giornalai.
L'idea, devo dire la verità, mi sembra buona. Anche se un po' vecchiotta. Noi della Voce, infatti, da sempre otteniamo le migliori notizie, gli scoop più clamorosi,  proprio dai nostri amici edicolanti. Sono loro, assieme ai nostri lettori, che da sempre scrivono i migliori pezzi su questo nostro piccolo grande giornale.
E l'ultimo scoop che ci hanno offerto su un piatto d'argento è proprio questo: quello della clamorosa notizia che la Gazzetta anche su questo versante vuole copiarci. 
        

            
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sabato 21 marzo 2015

IL CERINO ACCESO TORNATO IN MANO ALL'EX PATROPN DI PARMA CALCIO E I CREDITI DEL COMUNE

Nel mio articolo della scorsa settimana, cari lettori, anticipavo - come ovvia e inevitabile - l'evoluzione del crac Parma Calcio esternandovi la mia convinzione che con l'ex patron (che poi sia proprio un ex vi sono molti dubbi) Tommaso Ghirardi fosse tornato ad avere in mano quel cerino acceso di cui disperatamente aveva cercato di liberarsi cedendo (si fa per dire) la società sull'orlo del baratro finanziario a dei faccendieri evidentemente senza scrupoli e con la faccia di bronzo (prima Taci e poi Manenti) che hanno coperto di ridicolo nazionale e internazionale una cttà che stava ancora leccandosi le ferite degli scandali Parmalat e Comune di Parma, targati tutti Unione Parmense degli Industriali e istituti di credito.

Tommaso Ghirardi, che pensava di essersela cavata col suo improvviso ritorno al "paesello", è stato "risucchiato" dalla nuova Procura della Repubblica di Parma che lo ha subito iscritto nel registro degli indagati per il grave reato di banacrotta fraudolenta. Una Procura nuova che evidentemente ha ingranato marce e ritimi diversi da quelli soporiferi dell'era laguardiana che solo nei giorni scorsi, dopo una decina d'anni (e quando quasi tutti gli altri filoni hanno avuto esiti definitivi in Cassazione),  è riuscita a portare davanti al Gip l'udienza preliminare del troncone calcistico del crac Parmalat.
Ed è ovvio che sia il Ghirardi, e non l'incredibile Manenti, pagato per rimanere col cerino in mano, a doversi far carico di una situazione debitoria di quasi 200 milioni, messa insieme in pochi anni, dopo avere ricevuto il Parma Calcio dal Tribunale completamente ripulito dei debiti dell'era Tanzi.

Così come dovrà essere il sindaco Federico Pizzarotti a spiegare ai parmigiani (questa volta senza avere l'alibi di chiamare in ballo la precedente amministrazione di Pietro Vignali) come mai abbia tollerato per anni il mancato pagamento di crediti (ora valutati e dichiarati in quasi un milione emezzo di euro) da parte del Ghirardi nel momento in cui le casse comunali erano esangui e non vi era più un euro nemmeno per chiudere le buche nelle strade o per spalare  la neve dai marciapiedi.
E il Pizzarotti dovrà anche spiegare ai cittadini, senza perdersi troppo in chiacchiere con la sua parlantina che non convince più nessuno, perché ha preferito prendere provvedimenti odiosi, per mancanza di fondi, come quello di sottrarre risorse fondamentali per la vita dei disabili, anziché pretendere il pagamento dei crediti dovuti al Comune (poco importa se seppelliti e nascosti dentro a società partecipate) del Parma Calcio che, come abbiamo visto, si moltiplicano in poco tempo in modo esponenziale.

Il Pizzarotti evidentemente non si è ancora reso conto che chi lo ha votato e posto sullo scranno di primo cittadino non lo ha fatto affinché lui seguisse l'andazzo delle precedenti amministrazioni ubaldiane che, servili agli interessi e ai desiderata di lor signori e dell'Unione Industriali, associazione alla quale Ghirardi si era subito affiliato. Non si è ancora reso conto, quando ormai mancano poco più di due anni dalla fine del suo mandato, che è stato eletto, al contrario, affinché operasse una completa rottura con le passate amministrazioni che avevano portato il Comune sull'orlo del baratro finanziario proprio per compiacere le esigenze, gli affari e i desideri dei cementificatori  della città.
L'illegittima costruzione del ponte nord abitato (dai fantasmi) sta lì a dimostraree l'asservimento di Ubaldi e del primo Vignali agli ordini di Via Al Ponte Caprazucca e francamente non comprendo come la nuova Procura della Repubblica (di cui ho appena tessuto gli elogi per la tempestività dimostrata nel porre sotto inchiesta la gestione Ghirardi del Parma Calcio) non si sia ancora mossa per andare a mettere il naso (e magari qualche manetta) dentro a questo mega scandalo che è costato ai cittadini enormi quantità di pubblico denaro.

Quindi non solo Ghirardi, ma anche il sindaco Pizzarotti, che tanto attivismo sta dimostrando nell'inutile tentativo di "salvare" il Parma, è rimasto col cerino acceso in mano e sarà bene che spieghi al più presto alla cittadinanza, quando sarà tornato a occuparsi degli affari del Comune, come mai un parmigiano che non riesce a pagare una multa o le tasse comunali più alte d'Italia vede piombarsi addosso Equitalia con le ganasce all'automobile, mentre il signor Ghirardi poteva permettersi di (non) pagare un debito megagalattico quando e come voleva.
I parmigiani che non riescono ad arrivare a fine mese, alle prese con la disoccupazione o la cassa integrazione, non ne possono più, caro Federico Pizzarotti, dei tuoi tentati salvataggi di squadre di calcio, di aeroporti, di stagioni operistiche e di ponti demenzialmente (e delinquenzialmente) costruiti per fare arricchire qualche cementificatore, mentre togli as essi servizi essenziali e gli fai pagare le tasse più alte d'Italia   
Parma, 10 marzo 2015 N.9 / 1015