venerdì 21 novembre 2014

GLI INTERESSI PRIVATI COI SOLDI PUBBLICI

Nei giorni scorsi, a valle del nuovo Ponte Nord, nei pressi di Via Europa, vi è stato una grossa movimentazione di terra e ghiaia, con la realizzazione di nuove sponde e un consistente restringimento dell’alveo del torrente Parma. (Il tutto è documentato dalle foto in allegato).
Il timore di Legambiente è che nei prossimi giorni, in occasione del disgelo, possa verificarsi un evento di piena che eroda facilmente queste nuove sponde create tramite accumuli e che tale materiale venga trascinato a valle, con rischio di effetto tappo ed esondazione con conseguenze più pesanti di quanto avvenuto nelle ultime piene due anni fa. Ricordiamo che a valle sussistono le strutture della Cà Rossa, impianti sportivi su ambo le sponde e poi il quartiere di Moletolo.
 

A parte il rischio idraulico, l’associazione ambientalista ritiene comunque negativa la canalizzazione forzata del torrente, seppur per un breve tratto e in contesto urbano.
Legambiente chiede se Aipo, il Comune e la Provincia siano a conoscenza della realizzazione di queste nuove sponde, e in caso le abbiano autorizzate, se possono rendere noti i motivi. Inoltre Legambiente chiede agli enti preposti se ritengano che tali sponde siano atte a garantire la sicurezza idraulica
                                                                                          Legambiente Parma


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Questo comunicato - diramato da Legambiente a tutte le autorità interessate e alla cittadinanza attraverso i mass media il 22 febbraio 2012, mentre il cosiddetto ponte dei fantasmi era nel pieno della costruzione - mi è tornato alla mente lo scorso 9 novembre quando il sindaco Pizzarotti ha diramato un suo comunicato (vedasi il testo a pagina 5) di preallarme di fronte al rischio concreto che la città venisse nuovamente colpita  dalla esondazione non solo del Baganza, ma anche del torrente Parma.
In questo annuncio municipale si avvertiva la popolazione  che "Sacchetti di sabbia verranno posati anche sulla Parma in via Europa, in corrispondenza del nuovo ponte a nord, dove il torrente era tracimato il 13 ottobre".



Chissà perché, cari lettori,  lungo tutto il percorso cittadino della Parma, solo là dove è stato costruito questo mostro costato alle casse  pubbliche 70 milioni di euro (circa 140 miliardi di lire), si è dovuti  intervenire a rafforzare gli argini, temendo il ripetersi della esondazione del torrente, replay di quella avvenuta un mese prima in concomitanza con quella, ben più drammatica, del Baganza?
Hanno qualcosa a che vedere, mi sono domandato, le esondazioni del 13 ottobre e quella temuta del 9 novembre, proprio incorrispondenza - guarda che combinazione - con questo manufatto abusivo, inutile per i cittadini e utile solo - come abbiamo sempre sostenuto - per chi lo ha costruito, con quel drammatico comunicato dell'associazione ambientalista che, nella sostanza, con tutte le cautele del caso (visto che di mezzo c'era l'onnipotente ditta cementificatrice ubicata nella prestigiosa sede dell'ex convento di via Adorni) ha cercato di mettere in guardia le competenti autorità non solo sul già stranoto abusivismo edilizio di quella folle "cattedrale nel deserto" (un mastodontico edificio, ideato, progettato e costruito solo per spendere denaro statale, senza alcuna finalità pubblica), non solo sullo scempio estetico ambientale, sotto gli occhi di tutti, ma anche e soprattutto sulla pericolosità per i cittadini esposti al rischio di esondazioni proprio a causa di quei lavori senza senso?

La ghiaia e la sabbia dei fiumi,  lo sappiamo tutti, sono oro per le imprese edili, ma c'è bisogno di mettere a repentaglio un intero quartiere per procurarsele? Che bisogno c'era, per costruire quel mostro di vetro e acciaio, fuori legge, di demolire anche gli argini della Parma antistanti, con "movimentazione di terra e ghiaia", come denunciò Legambiente?  E  il costruttore non ha pensato che avrebbe messo a repentaglio la vita (e i beni) di migliaia di cittadini andando a restringere il corso del torrente?
E tutte quelle autorità alle quali Legambiente ha indirizzato e documentato quel criminoso intervento sulle sponde della Parma, perché sono rimaste a guardare?
Soprattutto perché non è intervenuta la Procura della Repubblica che non risulta abbia aperto alcun fascicolo non solo in presenza di una costruzione abusiva sull'alveo di un corso d'acqua, ma nemmeno in presenza di lavori demenziali di restringimento di quello stesso corso d'acqua, come denunciato e documentato con foto dalla associazione ambientalista parmigiana?

Non voglio nemmeno pensare, cari lettori, che il  Procuratore della Repubblica dottor Laguardia si sia tenuto ben lontano da questo mega scandalo per non indispettire l'ex sindaco Elvio Ubaldi che questa folle costruzione ha voluto a tutti i costi.
Un sindaco benemerito (che aveva molto a cuore Parma e i suoi abitanti) che, come ci assicurano alcuni suoi stretti collaboratori, si adoperò molto per far venire a Parma, sulla poltrona numero uno della Procura della Repubblica, questo magistrato, che poi, come ben sappiamo, a sua volta si adoperò molto per risolvere alcuni "problemi" penali dell'inventore della "città cantiere".
Parma, 18 novembre 2014
  

lunedì 10 novembre 2014

I FASCICOLI A LUNGA CONSERVAZIONE DEL PROCURATORE LAGUARDIA

Il dottor Gerardo Laguardia non era solo un Procuratore della Repubblica a... "lunga conservazione", come lo definii la scorsa primavera  per commentare il fatto che era ancora lì sulla poltrona che avrebbe dovuto abbandonare inderoga bilmente e improrogabilmente un anno prima, allo scadere del suo doppio mandato quadriennale. In barba a leggi e regolamenti dell'ordinamento giudiziario che vietano ad un Procuratore  scaduto di rimanere in carica nello stesso ruolo, continuava imperterrito ad esercitare le sue funzioni, evidentemente autorizzato in ciò da un Csm che nominava a macchinetta magistrati direttivi in ogni parte d'Italia, ma che non si decideva mai a designare - chissà perché - il nuovo capo della Procura di Parma.
Laguardia, però, non è stato solo un Procuratore a "lunga conservazione", come detto. Amava tenere anche, nel cassetto, qualche  fascicolo a lunga conservazione.

Uno di questi mi riguardava personalmente, essendo stato formato a seguito di una mia denuncia per calunnia all'allora colonnello dei carabinieri di Parma Gianfranco Petricca, indirizzata personalmente al Procuratore Laguardia nel febbraio 2006 e rimasta "in sonno" (l'uso di questo termine massonico è puramente casuale) fino a pochi giorni fa quando il suo successore dottor Antonio Rustico mi ha avvertito che il fascicolo era rimasto abbastanza nel cassetto di Gerardo e che, dopo quasi nove anni di giacenza, non poteva fare altro che chiedere al Giudice per le Indagini Preliminari  l'archiviazione per intervenuta prescrizione.
Le formule, però, nel diritto processuale penale hanno tutte un significato particolare. E la formula usata dal nuovo Procuratore per decretare l'estinzione del reato è stata quella della prescrizione e non per infondatezza della mia denuncia. Tradotto significa che quella mia denuncia era fondata, anche se vanificata perché rimasta incredibilmente nel cassetto di Laguardia per quasi nove anni, senza che l'ex Procuratore  decidesse - entro i canonici sei mesi - se chiedere l'archiviazione per infondatezza del reato di calunnia o  promuovere l'azione penale nei confronti dell'ex fratello di Licio Gelli. Il tempo a sua disposizione era di sei mesi, e l'abuso di questo magistrato lautamente stipendiato da noi cittadini è durato  nove anni, e senza che dal fascicolo emergesse alcun atto di indagine. Quindi un vero e proprio favore del suo ufficio  finalizzato a tenere indenne da conseguenze penali l'ex comandante dei carabinieri di Parma.

 Ora, però, la verità comincia ad emergere col cambio della guardia in Procura e la mia denuncia contro il Petricca, con una repentina inversione a 360 gradi, viene   ora considerata fondata e meritevole di portare a processo l'ex comandante provinciale dei carabinieri di Parma per calunnia nei miei confronti, cioè per avermi querelato per diffamazione sapendomi innocente. Un grave reato contro l'amministrazione della giustizia, perseguibile d'ufficio, che comporta una pena massima di sei anni di reclusione. Una soddisfazione postuma solo platonica, morale, perché nessun processo al piduista può più essere celebrato essendo intervenuta la prescrizione del reato da lui commesso.
Ma perché mi ero indotto a denunciare l'aderente alla loggia massonica eversiva P2 di Licio Gelli? Lo avevo fatto perché lui mi aveva, a sua volta, querelato per diffamazione avendo pubblicato un articolo (riprodotto integralmente a pagina 4) intitolato "Servitore dello Stato o di se stesso?". Un "fondo", questo, da me scritto dopo avere appreso, leggendo l'archiviazione di un precedente fascicolo a mio carico aperto in Procura,  che  i "suoi" carabinieri avevano effettuato indagini sul mio conto per diffamazione al Petricca senza che il massone piduista avesse nemmeno sporto querela. Indagini "di iniziativa", come le chiamano loro, illegittime, però, quando si procede per reati perseguibili a querela di parte, soprattutto se condotte - come contro di me e il mio giornale - per la bellezza di tre anni.

Non tutti i fascicoli che Lguardia avocava a sé, occorre dirlo, erano a lunga conservazione. In certi casi questo magistrato, approdato a Parma grazie  agli intrallazzi romani del sindaco Elvio Ubaldi, si trasformava in uno  "speedy gonzales" della inquisizione. Faccio solo due esempi. Quando archiviò in quattro e quattr'otto, appena preso possesso della sua poltrona di Procuratore Capo, il mega  scandalo del Duc che vedeva indagato, guarda caso, proprio Ubaldi, suo "benefattore".
E una velocità simile Laguardia la impresse proprio alle indagini (si fa per dire) contro di me per l'ultima querela calunniosa del Petricca. Mentre infatti la mia denuncia  per calunnia languiva senza speranza nel fondo (o sottofondo) del suo cassetto, quella di Petricca contro di me subiva una accelerazione che, come un boomerang,  andava poi ad infrangersi in Corte d'Appello a Bologna al cospetto di giudici veri che demolivano  la sentenza di stampo fascista (condanna a 14 mesi di reclusione, sei in più degli 8 chiesti dal Pm su ordine di Laguardia) raffazzonata alla bell'e meglio dal giudice Scippa che qualche tempo dopo, in preda forse al rimorso, si farà saltare le cervella.

martedì 4 novembre 2014

PIZZAROTTI E Il PIEDE IN DUE STAFFE


Tenere un piede in due scarpe, cari lettori, è uno dei principali  sport nazionali. Praticato da molti, specialmente nel mondo dei politicanti che addirittura ora l'hanno istituzionalizzato con il patto del Nazareno Berlusconi - Renzi. Un patto scellerato che rappresenta l'ultima trovata degenerativa di un sistema politico marcio e putrefatto che per decenni si è retto sul ladrocinio e sulla corruzione sfrenata (metà di quella europea è prodotta nella cattolicissima Italia) che ha finito per corrodere e mangiare anche se stesso. Un patto amorale e contro natura di una politica che ha travalicato ormai da tempo i confini del comune senso del pudore ma che consente all' ex cavaliere condannato per frode allo Stato di stare con un piede al governo ed uno all'opposizione, garantendo ancora per un po' la sopravvivenza a se stesso e a un giovane presidente del Consiglio che sembra essere stato creato da una sua costola, a sua immagine e somiglianza.

Non a tutti, però, cari lettori, è consentito il privilegio di tenere un piede in due staffe. Per farlo occorre essere fatti di pasta omogenea, della stessa natura. Occorre essere le classiche due facce della stessa medaglia. Berlusconi può stare contemporaneamente al governo e all'opposizione perché il fenomeno Renzi non è spuntato per caso in questo paludoso mondo politico ma è un prodotto di ingegneria genetica costruito in laboratorio da quel sistema  debosciato che, vistosi minacciato di morte dallo spuntare spontaneo dalla rabbia popolare del movimento rivoluzionario di Beppe Grillo, è riuscito a correre disperatamente ai ripari  riunendo in una le facce della stessa medaglia per sopravvivere ancora un po'.


 E non è detto che questa operazione rigenerativa abbia durata breve. Si è infatti  riprodotto in questi mesi lo stesso fenomeno che esattamente vent'anni fa vide spuntare dal nulla proprio il berlusconesimo. Allora la minaccia mortale al sistema amorale e perverso dei partiti mangiatutto, messo a nudo da Tangentopoli, fu rappresentato dalla Lega di Bossi.Un movimento politico rapidamente messo al bando, come quello di Grillo, dai giornali e dalle televisioni di Stato, organi non di informazione ma di propaganda, direttamente colonizzati o indirettamente controllati dai partiti tradizionali post democristiani o post comunisti, di destra o di sinistra. Emarginato, denigrato e messo in quarantena affinché non diffondesse i suoi germi, esattamente come accade oggi al Movimento pentastellato.

E allora la rabbia popolare contro la partitocrazia ladrona venne controllata e sopita proprio dalla "discesa in campo" di Berlusconi che fece credere a milioni di italiani di rappresentava il nuovo, la politica onesta, pulita, in contrapposizione a quella dei lestofanti. E che, poco alla volta, riuscì ad assorbire  e   a incorporare non solo le varie frange destrorse dei partiti distrutti dai pm di tangentopoli, ma anche lo stesso partito di Bossi che, arrivato a Roma, nella stanza dei bottoni, abbandonò ogni velleità rivoluzionaria fino ad integrarsi perfettamente, come sappiamo, nel sistema corrotto di questa sciagurata repubblica.

Come detto, quindi, per poter tenere il piede in due staffe occorre essere fatti della stessa pasta. Cosa che non è consentita - e qui vengo al nocciolo di questo lungo preambolo - al nostro sindaco Federico Pizzarotti.
Io lo avevo avvertito fin da subito che la sua politica del doppio binario (ammiccamento sempre crescente con i poteri forti locali che avevano fatto di tutto per contrastare la sua elezione, senza rinnegare ufficialmente la sua appartenenza al Movimento 5 Stelle) gli avrebbe forse consentito, all'inizio, di navigare in acque meno burrascose. Ma che, a lungo andare, i politici di professione locali, destrorsi e sinistrorsi, tutti in diversa misura corresponsabili del dissesto economico prodotto delle dissennate e sciagurate amministrazioni ubaldiane, senza una netta rottura con il passato e  una chiara denuncia e presa di distanze da questa pregressa stagione politica (e dai suoi padroni e padrini), avrebbero finito per  attribuirgli responsabilità che non gli competono.

Federico Pizzarotti ha forse finalmente aperto gli occhi in questi giorni in cui i vecchi marpioni della politica locale hanno attribuito a lui gli effetti catastrofici di una alluvione, quella del Baganza, che ha, invece, le sue radici nella scriteriata città cantiere di Ubaldi che ha disseminato la città di opere assurde e cattedrali nel deserto anziché destinare quei denari a lavori di pubblica utilità come doveva essere la messa in sicurezza del Baganza. Pizzarotti forse l'ha capito solo ora. Me lo fa pensare quel  passo della sua lettera di discolpa che pubblichiamo in altra pagina, indirizzata ai Ponzio Pilato di casa nostra, nella quale tira finalmente fuori le palle dicendo  che l'esondazione si sarebbe evitata se ci fosse stata "l’accortezza di realizzare una cassa d’espansione nel Baganza, anziché pensare a ponti che collegano il nulla col nulla, o a stazioni ferroviarie mastodontiche". Affermazione, questa, che mi fa pensare anche che il sindaco abbia letto nei giorni scorsi la Voce di Parma.