mercoledì 22 ottobre 2014

GLI ALLUVIONATI PRESI PER IL CULO DA BALLARO'

RADUNATI SUL BAGANZA E MANDATI A CASA SENZA PARLARE.
 Sono sicuro, cari lettori, che gli abitanti e i commercianti del quartiere Montanara che per una decina di giorni avevano lottato disperatamente contro il fango che si era impadronito delle loro case e delle loro strade dopo la fuoriuscita delle acque dal torrente Baganza, non sentivano alcun bisogno di unire al danno la beffa. Così come non sentivano alcun bisogno di essere presi per i fondelli quei meravigliosi ragazzi che generosamente erano accorsi per portare  aiuto a quella gente così colpita dalla devastazione delle loro abitazioni.

Invece è proprio accaduto che nel nome del più becero degli spettacoli, la televisione di stato, quel carrozzone che anche la gente colpita dalle alluvioni tiene in vita pagando l'assurdo balzello del canone, abbia pensato bene di strumentalizzare quella immane tragedia per aumentare l'audience di una trasmissione politica, Ballarò, diventata ancor più inguardabile dopo l'avvento al potere di Matteo Renzi, l'uomo nuovo mandato dalla provvidenza a risolvere tutti i problemi degli italiani.
Sembrerà incredibile, cari lettori, ma a quei pochi poveri sciacalli sorpresi nei giorni scorsi ad impadronirsi di qualche oggetto salvato dalla furia dell'acqua, si sono aggiunti i ricchi responsabili di questa trasmissione condotta dal giornalista di Repubblica Massimo Giannini - di chiaro stampo Pd renziano - che hanno pensato bene di strumentalizzare il dolore e la disperazione delle persone colpite dalla alluvione col solo fine di mostrare a un pubblico famelico di disgrazie altrui che vicino a delle macerie vi erano anche degli uomini in carne e ossa. Uomini, però, senza sentimenti e, soprattutto, senza favella.

Un abominevole sciacallaggio di Stato che ha trasformato in comparse da film, belle statuine, delle persone che sentivano solo il bisogno di urlare la loro rabbia contro politici e amministratori inetti che non solo non avevano fatto nulla per evitare la catastrofe, ma che, anche dopo l'esondazione, li avevano lasciati soli.
Ed è proprio questo il motivo per cui centinaia di persone, indotte ad uscire di casa dopo avere lasciato pale e scope,  per far sapere al resto d'Italia quello che era successo e che stava succedendo a Parma, si sono viste tappare la bocca. Non c'è posto, infatti, per il dissenso  e per la protesta nell'era del consenso totale renziano.
E così, dopo una prima carrellata sul popolo parmigiano dell'alluvione, sui nostri "angeli del fango", è giunto da Roma l'ordine del "tutti a casa, adesso non servite più".

Non si deve sapere nel resto d'Italia, in diretta televisiva, che una regione "rossa" modello come l'Emilia non si interessa dei corsi d'acqua che minacciano una popolazione di 180 mila abitanti. Non si deve sapere che in questa regione, esempio europeo di amministrazione efficiente e virtuosa, quattro anni fa si stipulò, dopo altre esondazioni meno catastrofiche, un accordo di programma con lo Stato in base al quale si dovevano effettuare opere urgenti sugli alvei dei corsi d'acqua. E che una delle opere più urgenti era ritenuta proprio la messa  in sicurezza del Baganza con la costruzione di casse di espansione che, se esistenti, avrebbero salvato la città dalla esondazione.

Non si deve sapere che i soldi mai arrivati a Parma per mettere in sicurezza la città dalle esondazioni del Baganza sono invece arrivati abbondanti (oltre 70 milioni di euro)  per costruire un demenziale ponte abusivo sul torrente Parma. Demenziale e abusivo perché costruito in barba a leggi e regolamenti che impediscono di edificare oper destinate ad essere abitate sui letti dei fiumi.
E soprattutto mamma  Rai non deve far sapere agli italiani che in Parlamento si sta cercando di far passare di strafuso - con un emendamento sotto banco ad un articolo della legge "sblocca Italia" - la sanatoria di questa delinquenziale opera abusiva.
Ecco allora spiegato perché, dopo un'ora passata nella spasmodica attesa di poter finalmente parlare per far sapere al resto d'Italia la verità su quello che era accaduto a Parma, a centinaia di alluvionati "convocati" nei pressi del ponticello crollato, è stato detto dalla cronista di Ballarò: "Mi hanno comunicato da Roma che è saltata la scaletta, il collegamento finisce qui, andate pure a casa, mi dispiace...".

Le telecamere per raccogliere la protesta e l'indignazione degli alluvionati e degli "angeli del fango" venivano spente. Ma non quelle per raccogliere le parole di circostanza del sindaco Pizzarotti che lì vicino, nascosto come un carbonaro dentro al parco alluvionato di Villa Parma,  veniva intervistato da Giannini che, incurante dell'alluvione e degli alluvionati, voleva sapere da Federico cosa pensasse delle ultime espulsioni di Beppe Grillo dopo lo striscione di protesta al Circo Massimo.
Una penosa strumentalizza- zione politica non solo da parte di un conduttore Tv che "tiene famiglia", ma anche da parte di un sindaco esibizionista che, pur di finire sullo schermo, non perde occasione di denigrare il Movimento 5 Stelle sputando nel piatto dove, grazie a  Grillo, sta mangiando da oltre due anni.

martedì 21 ottobre 2014

QUANDO ELVIO FACEVA L'ANFITRIONE CON I SOLDI DEI PARMIGIANI.

 Quando partecipi a feste dove puoi gozzovigliare allegramente con ospiti importanti, belle donne, orchestre e cori che allietano i momenti di noia e abbuffate con tavolate dove non manca nulla, con in bella vista le "eccellenze" tipiche della "food valley" abbondantemente "bagnate" con vini pregiati, in uno scenario suggestivo come quello della "Chartreuse" immortalata da Stendhal, la libidine, cari lettori, deve salire alle stelle. E ancor di più se sai che mangi, ridi, bevi e ti diverti a "sbafo", coi soldi di quei fessi e "sfigati" (i cittadini di Parma) che in quel momento sono magari al lavoro, o all'ufficio di collocamento a cercare lavoro. O, peggio ancora, che stanno vivendo il dramma della casa messa all'asta dalla banca perché non riescono più a pagare il mutuo o da Equitalia perché non riescono a pagare le tasse, o che sono al freddo e senza luce perché mamma Iren ha tagliato i fili e sospeso le forniture del gas perché non riescono più a pagare le bollette.

E la libidine deve raggiunere la massima potenza in capo all'anfitrione di quel banchetto da favola, che viene riverito, omaggiato e ossequiato come una star dagli ospiti illustri e dai cortigiani.
Il mugnifico padrone di casa era proprio lui, Elvio Ubaldi, il sindaco di Parma, quel 21 maggio 2006, generosissimo anfitrione di quel sontuoso ricevimento indetto per festeggiare alla grande la conclusione degli... eventi di... Elementi, una delle più incredibili macchinine mangiasoldi prodotte dalla "macchina dei debiti" inventata dal "piccolo zar" di Vigatto nel momento del suo maggior splendore.
La felicità sembra sprigionargli dagli occhi, quando viene immortalato vicino alla Cesara Buonamici, ad Antonino Zichichi (serviva anche uno scienziato per elevare di tono quella abbuffata) e a una gran gnoccona bionda, mezzo metro più alta di lui. Ci appare  in gran forma.  Jeans alla moda dei vip casual, con camicia a righe, giacca blu e cravatta arancione in tinta coi mocassini beige. Scolpito in volto il sorrisetto sbarazzino e sereno del bambino che ha appena scoperto il posto dove la mamma ha nascosto la nutella, sapendo che può anche mangiarsela tutta d'un colpo perché mammina sta al gioco e fa finta di non vedere.

 Quando infatti Elvio Ubaldi sta sputtanando tutti quei soldi dei parmigiani con quel sontuoso ricevimento alla Certosa (luogo che pensavamo fosse sobrio, adibito alla istruzione dei custodi delle carceri, non certo ritrovo di parassiti festaioli coi soldi dei cittadini), sa che non corre il rischio che qualcuno lo chiami a rispondere di quello sperpero di denaro pubblico. E'  giunto al quarto anno del suo secondo mandato di sindaco e, mentre nel resto d'Italia le Procure sbattevano in galera pubblici amministratori per poco o niente, lui ha potuto impunemente, senza che nessuno andasse a mettere il naso in quello che faceva, sperperare denaro pubblico in faraonici ponti per sorpassare pochi metri a sud sulla Parma e, a nord, un ponte "abitato", ma che non si può abitare; ciclopiche passerelle ciclopedonali per passare da un lato all'altro della via Emilia; lo scempio (attuato) di Piazza Ghiaia e quello (solo progettato) dell'Ospedale Vecchio;  le gallerie (abortite) che dovevano partire dall'Arco di san Lazzaro e sbucare un ramo al Petitot e l'altro davanti al Barilla Center; la follia di una metropolitana in una città come Parma che si attraversa a piedi in un quarto d'ora. E, soprattutto, la maledizione di un inceneritore che appesterà l'aria per i prossimi trent'anni, vomitando sulla città veleni di ogni genere e soprattutto diossine e polveri sottili che colpiranno la popolazione con malattie anche tumorali. Senza contare le centinaia di migliaia di euro sputtanati in consulenze d'oro come quella (15 mila euro) elargita al suo avvocato personale Antonino Tuccari per una mezza giornata a Bologna in occasione del processo per l'uccisione del piccolo Tommy.

Elvio Ubaldi quel giorno, alla Certosa, era anche sereno e tranquillo, mentre sperperava i nostri soldi, anche perché ben sapeva che aveva goduto della impunità anche per il mega scandalo dell'appalto del Duc che, dopo il sequestro del cantiere e la sua incriminazione per abuso d'ufficio e falso, era finito, come si suol dire, a "tarallucci e vino", dopo il provvidenziale arrivo a Parma del Procuratore Laguardia grazie alle sue raccomandazioni presso gli amici casiniani introdotti nel Csm.
E l'Ubaldi, quando intratteneva coi soldi dei parmigiani quelle centinaia di invitati alla Certosa, sapeva anche che sarebbe finita allo stesso modo, cioè senza alcun danno per lui, quell'inchiesta sui dirigenti comunali che avevano fatto carriera senza titoli e senza concorsi.
Come quella di sua moglie Cristina Trombella. Mentre infatti si dava tanto da fare "per il bene della città", da buon marito e premuroso padre di famiglia, non disdegnava di utilizzare anche un po' dei soldi delle casse comunali per migliorare la situazione lavorativa della sua metà, andando incontro al suo sogno di lasciare il limbo della impiegata comunale, per approdare nell'olimpo dei dirigenti.
Per soddisfare questa comprensibile ambizione, Elvio non aveva badato a spese e, men che meno, all'uso di tutti i mezzi che il suo ruolo di sindaco - padrone gli metteva a disposizione. In modo spregiudicato, senza il minimo senso del pudore.

Il rocambolesco percorso dirigenziale della signora Trombella (retribuito con cinquemila euro mensili di stipendio, oltre ai "premi di risultato" che non si negavano a nessuno, figurarsi a lei) inizia alla metà del 2004 quando in Comune viene modificato addirittura il regolamento comunale per adattare i requisiti richiesti per l'assunzione di dirigenti alle necessità della signora Ubaldi. Gli escamotages poi si susseguono senza freni inibitori. La signora Trombella si licenzia da dipendente comunale e lo stesso giorno delle sue dimissioni Ubaldi, pardon, la Giunta ubaldiana, la assume con contratto privato a tempo determinato in qualità di direttore della Istituzione Casa della Musica. E ciò scavalcando una quindicina di dirigenti del Comune in lista d'attesa, che avevano tutti i requisiti per quel ruolo. Incredibile, ma vero. Interessi privati coi soldi pubblici.
Ora, ripensando a tutti questi eventi e alle feste come quelle della Certosa, non so come la pensiate voi, cari lettori, ma io faccio una gran fatica a non imbracciare il forcone, sapendo come Ubaldi e C. sputtanava  i soldi che adesso mancano per riempire le buche nelle strade, per la manutenzione nelle scuole e per le rette degli asili.      

venerdì 17 ottobre 2014

LA CITTA' CANTIERE DI UBALDI E QUELLA DEI RAGAZZI CON LE PALE

Se non fosse dipartito un paio di settimane fa, Elvio Ubaldi avrebbe potuto vedere da vicino, in presa diretta e in tempo reale, gli strabilianti effetti della sua magnifica "città cantiere".
Abitava nello stesso quartiere, il Montanara, andato sott'acqua per la furia del Baganza e avrebbe potuto assistere - magari aggrappato al camino o all'antenna della Tv, scappato sul tetto della casa per tema di vedersi arrivare addosso fra le sue mura domestiche tonnellate di melma - allo straripamento del torrente, allo sradicamento della vegetazione, al rumore sinistro dei container e degli alberi sbattuti contro i ponti, allo schianto delle automobili sollevate dalle strade come fossero bidoni di plastica, scaraventate contro i muri, le cancellate dei palazzi, i tronchi delle piante e parcheggiate, magari con le ruote all'insù, nell'orto di un vicino.



E poi, il giorno dopo, avrebbe potuto vedere l'altra faccia prodotta da quella "sua" città cantiere. Un piccolo esercito di ragazzini, vestiti con jeans e stivali di gomma, armati di scope e pale, passare di casa in casa a soccorrere le persone anziane, svuotare dal fango cantine, garage e primi piani delle case, ammassare detriti e suppellettili distrutti, ripulire strade e marciapiedi.
Un piccolo esercito di ragazzini, parmigiani o piovuti da chissà dove, che andava ingrossandosi  di ora in ora, che, senza chiedere nulla in cambio, faceva materialmente sentire a tanta gente disperata, che per tante ore si era sentita abbandonata a se stessa, che non erano soli ad affrontare quella immane tragedia. Un piccolo meraviglioso esercito di ragazizni che in poco tempo è diventato la vera protezione civile in questa città dove incredibilmente, nel momento dell'emergenza, erano saltate tutte le comunicazioni, anche quelle via internet che di solito si sostituiscono a quelle telefoniche in caso di calamità.
Ecco le due facce di Parma. Una città devastata da una natura che si è ribellata a politici inetti e megalomani che per decenni hanno sperperato montagne di pubblico denaro per opere assurde e inutili. O meglio, utili solo ai cementificatori che le costruivano, non certamente ai cittadini che le pagavano.

E l'ultima montagna di soldi dei cittadini veniva "sputtanata" da Ubaldi per costruire la più demenziale cattedrale nel deserto che mente umana potesse concepire. Mi riferisco, ovviamente, a quel ponte a nord sulla Parma che, in occasione di quest'ultima piena, ha rischiato addirittura di  ostruire un torrente che si era inteso mettere in sicurezza costruendo quelle casse di espansione in località Mamiano che pare abbiano salvato in questi giorni la città da una inondazione che avrebbe rappresentato una catastrofe di inimmaginabili proporzioni.
Ebbene il mixage fra politici e amministratori  megalomani e servi dei potenti, architetti scriteriati e costruttori famelici, abituati a  mungere gli enti  pubblici "collusi" fino a mangiarsi anche le mammelle, ha prodotto quella costruzione obroriosa in mezzo al torrente, contro la quale è andata paurosamente ad infrangersi l'ondata di piena della Parma. Una vera e propria cattedrale nel deserto che da qualsiasi altra parte del globo avrebbe anche portato in galera i suoi ideatori perché concepita nel totale disprezzo delle norme giuridiche che vietano tassativamente di costruire manufatti destinati ad essere abitati sugli alvei dei fiumi.

Ma quello che è peggio è che quella montagna di denari pubblici, sperperata per questa demenziale opera abusiva, poteva  e doveva essere impiegata per mettere in sicurezza il torrente Baganza con la costruzione a monte della città  di quelle casse di espansione che avrebbero evitato la drammatica esondazione che ha sommerso il quartiere Montanara. Perché non si è usato quella montagna di soldi pubblici per costruire un'opera che in un protocollo di intesa fra Stato e Regione Emilia Romagna era stata dichiarata  urgente e prioritaria, per mettere in sicurezza una città di 180 mila abitanti?
Perché il piccolo zar di provincia ha preferito e i suoi politici di riferimento romani hanno preferito scialacquare quei soldi in una costruzione abusiva sul greto della Parma? Un'opera assurda e criminale che andava ad aggiungersi a tante altre della stessa categoria, come il ponte sbilenco a sud sulla Parma, la passerella ciclopedonale sulla via Emilia, lo scempio di piazza Ghiaia e altre solo immaginate  progettate da quei cervelli megalomani e per fortuna abortite come la follia della metropolitana e lo stupro dell'Ospedale
Vecchio.

L'unico aspetto positivo di questa terribile tragedia che ha colpito un grande quartiere della nostra città, è stato lo spuntare come funghi di qegli straordinari ragazzi - di cui Parma evidentemente è ricca - che in questi giorni hanno riempito la "città cantiere" ricevuta in eredità da Ubaldi che, con stivali, scope e pale, senza che nessuno glielo chiedesse, e senza ricevere nulla in cambio, hanno restituito a questa nostra città la dignità perduta e hanno rappresentato per tanta gente caduta in ginocchio un motivo valido per continuare ad avere speranza nel futuro.

venerdì 10 ottobre 2014

FEDERICO VUOL FAR LE SCARPE A BEPPE...COME COMICO

La sindrome della grandeur del ducato marialuigense deve essere una malattia così contagiosa da appiccicarsi addosso, inevitabilmente, a tutti quei politici e politicanti che in questa città vengono a contatto
con le leve del comando nei palazzi del potere.   Anche se provengono dalla campagna e fino al giorno prima pulivano le stalle e accudivano le giumente, quando inforcano l'abito della festa e, profumati e imbellettati, varcano il portone del Teatro per la prima del Regio vengono inevitabilmente contaminati. E nel foyer passano e ripassano cento volte davanti alla telecamera fino a quando la telecronista non li cattura per fargli commentare in diretta l'opera
verdiana.

E' in quel momento lì che si realizza il sogno di una vita. Si sentono improvvisamente importanti. E li senti parlare e sparlare, rigorosamente con la erre francoaustriaca, dell'opera verdiana da grandi
intenditori, da melomani incalliti, anche se la sola musica che avevano sentito fino a quel momento era il muggito delle bestie che reclamavano il foraggio.
La malattia, quando a notte inoltrata tornano a casa, li ha presi totalmente, anima e corpo. Una malattia difficile da curare. Non c'è vaccino che tenga.
E se per caso sono diventati il sindaco della città, cominciano a sognare le piramidi, i grandi ponti tipo Brooklin, la tour Eiffel (che a Parma può prendere le sembianze, per carenza di ferro, di una più
modesta pista ciclopedonale per sorpassare 5 metri di via Emilia), le metropolitane, gli aeroporti intercontinentali, e via di questo passo.

Negli ultimi tre lustri la sindrome megalomaniaca non ha lasciato immuni alcuno dei sindaci parmigiani. Nemmeno Federico Pizzarotti, primo sindaco grillino italiano, eletto un paio di anni fa sull'onda lunga,
che pareva devastante, dell'antipolitica e del malgoverno, è rimasto indenne.
Per fortuna (dei parmigiani), però, quando è entrato per la prima volta al Regio era sì "rifatto", ma senza soldi. I suoi predecessori Ubaldi e Vignali lo avevano lasciato in brache di tela. E allora lui, non potendo
materialmente costruire altre cattedrali nel deserto oltre a quelle lasciate da pagare ai parmigiani da Elvio e Pietro, ha dovuto per forza di cose dar sfogo alla sindrome marialuigesca come ha potuto, coi pochi
mezzi materiali a sua disposizione.

Come tutti ben sappiamo, si era trovato a fare il sindaco di Parma per puro caso. Da ignoto operatore informatico, si è improvvisamente ritrovato, senza riuscire a farsene una ragione, catapultato da Beppe
Grillo sulla poltrona di primo cittadino, inseguito dalle telecamere di tutto il mondo come un fenomeno da baraccone. Prima creatura politica del comico genovese.
Ma Pizzarotti non era un grillino italiano qualsiasi. Era un grillino parmigiano, ultimo erede della duchessa austriaca, moglie pluricornificata di Napoleone. E ritrovandosi come detto con le casse
solo piene di debiti, non poteva pensare di costruire un altro ponte abitato sulla Parma o di riprendere
in mano il progetto ubaldiano della metropolitana abiurato da Vignali. E allora per sfogare la sindrome della grandeur che si impadronisce di tutti i politici parmigiani - dopo un timido tentativo di salvare, senza
un euro, l'aeroporto - ha dovuto ripiegare su sogni a costo zero.
Il suo primo obbiettivo, se realizzato, supererebbe addirittura in megalomania la "città cantiere" di Ubaldi. Federico "il grande", cari lettori, si è messo in testa di prendere il posto di Beppe Grillo alla
guida del Movimento 5 Stelle.
Avete capito bene. Dopo avere rinnegato il programma elettorale imposto a tutti i candidati dal comico genovese.

Dopo avere cercato di realizzare a Parma la "grande intesa" con gli altri partiti provinciali, roba dell'altro mondo per il Beppe Nazionale.
Dopo avere elogiato i vari espulsi dal Movimento e intrallazzato con loro. Dopo tutte queste ed altre azioni che hanno fatto incazzare il suo padrone genovese, avrebbe anche cercato di aizzare alcuni parlamentari
grillini alla ribellione contro il gran capo. Con la recondita aspirazione di prenderne il posto.
Ve lo immaginate voi, cari lettori, il Movimento pentastellato capeggiato da Federico dopo la cacciata di Grillo? Vi immaginate le folle oceaniche che radunerebbe l'ex tecnico informatizzato ai suoi comizi?

Un vero e proprio golpe allo stato embrionale (per adesso) di fronte al quale Grillo, preoccupatissimo, ha reagito con alcune drastiche misure in vista della grande adunata romana di questo fine settimana.
Innanzitutto tenerlo lontano dal circo (Massimo) creandogli attorno un impenetrabile cordone sanitario. Niente palco e divieto di indossare la pettorina nel caso chiedesse di rendersi utile nel servizio ai
partecipanti. Beppe ha poi disposto una vigilanza per impedirgli anche di infiltrarsi, camuffato da vu cumprà, per vendere ai partecipanti bibite, gelati o, in caso di pioggia, ombrelli.
Federico, però, dall'alto del suo blasone marialuigiano, non fa una piega di fronte a questi diktat. E' l'erede di un ducato e continua a pensare in grande. Grillo ha attraversato a nuoto lo stretto di Messina per conquistare i voti dei siciliani? Lui non vuole essere da meno e si sta già esercitando nel laghetto del giardino ducale in attesa che il il Magistrato per il Po apra le chiaviche della cassa di espansione e lui possa anche tentare l'attraversamento, da una riva all'altra, della Parma.
Si tratta ora solo di vedere come finirà questa contesa. Io, cari lettori, penso che difficilmente Federico riuscira a far fuori Beppe dal movimento politico.
Chissà invece che non riesca a subentrargli come comico.

lunedì 6 ottobre 2014

QUANDO IL GRAN MAESTRO CERCO' DI METTERCI IL BAVAGLIO

La lettera inviata la scorsa settimana dal "cattolicissimo" (autodefinizione) Carlo Salvatori non a noi (chissà perché?) ma al foglio mortuario degli industriali di Parma, è non solo denigratoria nei nostri confronti per gli insulti gratuiti che ci propina, ma anche e soprattutto patetica, stante il penoso tentativo di rinnegare una appartenenza ad una associazione segreta - quella dei fratelli incappucciati - che non ci siamo certamente inventati noi, ma che è rivelata da un documento ufficiale proveniente da una indagine della Procura della repubblica, da noi tra l'altro già reso noto anni fa, senza suscitare, allora, alcuna reazione da parte del banchiere. Cosa che ci fece pensare che, lungi dal rinnegare la conclamata sua appartenenza alla massoneria, ne andasse addirittura fiero e orgoglioso.
 C'è da capirlo. I tempi sono profondamente cambiati. Allora, quasi tre lustri fa, il Salvatori era all'inizio di una brillante carriera e vestire il "grembiulino" si sa, anche nel mondo bancario, come in quello ospedaliero, universitario e imprenditoriale in genere, può aiutare a superare ostacoli e concorrenti quando si è in corsa per i traguardi più ambiti.

Oggi, però, che Carlo Salvatori entra a far parte della corte del Papa diventando uno dei consiglieri di amministrazione dello Ior, la banca vaticana, avergli tolto il cappuccio dalla testa ed avere mostrato il
suo volto deve averlo indispettito non fosse altro per il fatto che anche dopo la nomina dell'innovatore Papa Francesco, rimane intatta la condanna e la scomunica di Santa Romana Chiesa, senza se e senza ma, nei
confronti delle massonerie di vario stampo e dei massoni che vi aderiscono.

A chi chiedeva se il giudizio della Chiesa nei confronti della massoneria fosse mutato, per il fatto che essa non venga espressamente menzionata nel nuovo Codice di Diritto Canonico, con un documento pubblicato il 26 novembre 1983 dalla Congregazione per la dottrina della fede, redatto dal futuro papa Joseph Ratzinger e approvato da papa Giovanni Paolo II si enunciava: "Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, perché i loro principi sono sempre stati considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l'iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche
sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione".

Ovvio, quindi, che nel momento in cui Salvatori viene chiamato ad amministrare la "banca del papa" si sia resa necessaria - qualcuno in alto loco deve avergliela richiesta per salvare le apparenze - la smentita fatta tramite il foglio funerario di casa nostra.
Non è la prima volta, tra l'altro, che la nostra stampa libera è oggetto di tentativi di censura quando cerca di sollevare un velo su questo mondo occulto che proprio sull'incappucciamento, cioè sulla segretezza
della identità dei suoi adepti, fonda la propria ragion d'essere e la propria capacità di pemetrare, influenzare e inquinare pesantemente le attività dei palazzi istituzionali, compresi quelli - e di questo ne siamo testimoni oculari - che amministrano la giustizia.

Accadde già in quegli anni che cominciai a pubblicare sul "Giornale di Parma" i primi nomi dei massoni parmigiani. Il panico si impadronì di questa grande e strapotente famiglia quando parlai di loro in un fondo
intitolato "Diritto massonico parmigiano". Vi introdussi un rigo con un numerino (ricevuto anonimamente da un lettore) che individuava la loggia di appartenenza di un vecchio avvocato massone che avevo visto poco
tempo prima fare il bello e cattivo tempo in tribunale. La cosa che più mi aveva colpito in lui era stata l'"agilità" con cui si muoveva, nonostante l'età, dentro l'ufficio di un giudice che aveva poi
sequestrato i beni del giornale per conto di un noto imprenditore parmigiano, noto anche a quasi tutte le Procure d'Italia, più volte arrestato (mai però a Parma)e diverse volte condannato per reati contro
la pubblica amministrazione. Il dubbio che mi aveva assalito fu che quel giudice non fosse solo un somaro, ignorante delle leggi, ma invece un "fratello" degli altri due (imprenditore e suo avvocato), obbediente
cioè, anziché alle leggi, alla legge delle logge.
 Quel numerino, comunque, gettò il panico fra i "fratelli" di Parma che mobilitarono addirittura il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. Niente meno, quindi, che il potentissimo grande capo della massoneria. Questi si arrabbiò non poco con noi, come risulta dalla sua lettera che pubblichiamo in altra pagina di questo giornale.Ma non ottenne un gran che. Gli risposi con un altro fondo intitolato "I massoni han tremato" dove sostenevo che se questa associazione è benemerita e i suoi fini sono filantropici, come sostengono loro, non c'era motivo perché nascondessero la loro faccia. E gli dissi che se invece si tratta di una organizzazione occulta che protegge e promuove gli interessi degli aderenti, a danno quindi dei restanti cittadini, questi ultimi, cioè i cittadini che non ne fanno parte, hanno il diritto sacrosanto di difendersi strappando loro il cappuccio dalla testa.
Di fronte a questo conclamato diritto alla legittima difesa, il Gran Maestro della massoneria si rivolse al garante della privacy che, per nostra fortuna, allora era il professor Stefano Rodotà. Di fronte a quella richiesta di inibirci la pubblicazione degli elenchi degli associati, rispose picche, dichiarando inammissibile il ricorso. Non ammetteva ricorsi collettivi. Ogni massone, gli rispose Rodotà, avrebbe
dovuto proporre un ricorso individuale, firmandolo di proprio pugno. I massoni di Parma non accolsero il mio appello a proporre questi ricorsi individuali. Capirono che se lo avessero fatto, avrebbero dovuto
togliersi il cappuccio e noi non avremmo avuto alcun bisogno di pubblicare i loro elenchi per difenderci.

sabato 4 ottobre 2014

DE PROFUNDIS PER UN AEROPORTO MAI DECOLLATO

Crediamo sia evidente come la questione dell’aeroporto abbia una rilevanza simbolica e strategica. Simbolica perché segnerebbe un altro insuccesso e un altro indebolimento del sistema Parma, strategica perché il nodo viario e logistico di Parma subirebbe un ulteriore colpo minandole sue potenzialità: senza la Pontremolese almeno nel medio periodo econ la stazione medio padana a Reggio Emilia la creazione di un sistema integrato, che veda Parma strategicamente inserita, necessitadell’aeroporto. Nei mesi scorsi, a fianco dei soci pubblici e privati della società di gestione dello scalo cittadino, abbiamo ottenuto l’inserimento del Verdi nel piano nazionale aeroporti del Governo e il rilascio della concessione da parte dello Stato. Un risultato
nient’affatto scontato che non può ora essere disperso.

Le parole responsabili del Presidente di Sogeap non possono essere lasciate cadere nel vuoto e impongono risposte, iniziative concrete e forti. Questa tocca in prima persona al sindaco e alle altre istituzioni locali che
devono riflettere sulla situazione complessiva della città di cui questa ulteriore crisi è un sintomo molto grave. E’ urgentissima la convocazione di un tavolo di crisi per riprendere il filo di quella azione congiunta che ha portato all’ottenimento dei risultati prima ricordati, lo stesso è indispensabile per uscire da questa situazione.
Patrizia Maestri, Giuseppe Romanini e Giorgio Pagliari

Informo i nostri lettori più insofferenti dei tetrini della politica, locale e nazionale, che i signori Maestri, Romanini e Pagliari, firmatari di questo drammatico appello per il salvataggio dell'aeroporto di Parma che starebbe esalando gli ultimi respiri, sono gli unici tre parlamentari parmigiani (tutti del Pd) usciti fuori dalle elezioni politiche del febbraio 2013 e rappresentano quindi - o dovrebbero rappresentare - a Roma gli interessi dei cittadini del nostro territorio. Sono quelli che un giorno sì e l'altro pure inviano comunicati agli organi di stampa per farci sapere che dopo il voto non ci hanno dimenticati, che non riescono a non pensare a noi nemmeno per un momento, che ci vogliono un bene dell'anima e che non riescono ad andare a letto la sera se, durante il giorno, non hanno cercato di adoperarsi in ogni modo per risolvere i nostri problemi e soddisfare i nostri bisogni.

Sono loro, tanto per fare qualche esempio, che un giorno sì e l'altro pure chiedono al governo romano il raddoppio della Pontremolese per farci arrivare più velocemente al mare; e il raddoppio della via Emilia per non farci perdere, dopo la stazione mediopadana, anche i treni dell'alta velocità che dobbiamo andare a prendere a Reggio. Sono loro che chiedono continuamente soldi (senza ottenere un pio) per i nostri
terremotati o alluvionati e le sovvenzioni per i produttori delle "eccellenze" della nostra food valley messi ko dalla scellerata politica del loro leader e nuovo uomo della provvidenza (un vero e proprio clone
di Berlusconi) che si accoda agli americani non solo sui vari scenari delle guerre bushane (esponendo tutti noi alle vendette dei taglia gola) ma anche nelle scellerate sanzioni suicide contro la Russia che stanno
mettendo in braghe di tela i nostri agricoltori e che ci costringeranno tutti al fresco nel prossimo inverno quando Putin chiuderà i rubinetti del gas.

E sono loro che - anziché pensare ai cazzi loro e godersi gli stipendi da nababbi che ci rapinano e i privilegi da signorotti medievali che prima delle elezioni avevano promesso di abolire - cercano anche di farci dei danni, come qualche mese fa (ce lo ricordano nella loro lettera) quando hanno ottenuto l'inserimento del Verdi "nel piano nazionale aeroporti del Governo". Una beffarda messa in scena da parte di politici che ben sapevano che per rianimare quello scalo agonizzante occorreva trovare degli utenti che se ne servissero per volare, non un pezzo di carta con dei timbri sopra che, senza quei passeggeri, non serviva a niente e aveva solo lo scopo di prolungare un insensato "galleggiamento" senza staccare la spina, con altro denaro pubblico.
La verità è che l'aeroporto di Parma, in un Paese normale, dove i politici non mettono naso dappertutto, non aveva ragione di esistere.

  E se ci portiamo dietro da decenni questa maledizione che ha succhiato dalle tasche dei parmigiani ingenti quantità di denaro sottratte ai bisogni sociali, lo dobbiamo all'ex parlamentare socialista Fabio Fabbri che ottenne dal Governo di Craxi questa cattedrale nel deserto, ennesimo vuoto e stupido (oltre che costoso) tributo alla grandeur parmigiana da parte di una classe dirigente megalomane che, grazie alle sue
bagolonate, sbruffonate e ai suoi imbellettamenti, ha portato allo sfascio le casse comunali.
Non c'è da stupirsi, quindi, cari lettori, se i politici locali di tutte le razze (ieri quelli destrorsi doc, oggi quelli sinistrorsi convertitisi al capitalismo nel post comunismo), seguaci del liberismo e della libera concorrenza elevata a dogma, corrono al capezzale della vacca da mungere quando sentono che sta per dare gli ultimi muggiti.

E non c'è da stupirsi se improvvisamente diventano tutti degli statalisti bolscevichi convinti e invocano sciagurati salvataggi con il solito pubblico denaro, rapinato dalle tasche dei cittadini.
Ovvio che i parlamentari Pd di Parma, perfettamente in linea con i loro predecessori di tutti i colori, si siano riversati al capezzale di questo pozzo di San Patrizio che sta per chiudere il fondo, dopo avere ingoiato per decenni decine di miliardi. Denaro dei cittadini che ogni anno Comune, Provincia e Camera di commercio riversavano per ripianare i bilanci fallimentari di uno scalo che è servito solo a Tanzi e Pizzarotti (il cementificatore) per parcheggiare vicino a casa i loro aerei personali e per sbandierare una grandeure parmigiana ridicola visto il merdaio dove hanno sprofondato i nostri concittadini.

Cosa c'entra l'altro Pizzarotti (il sindaco), che i nostri parlamentari tirano in ballo per salvare un aeroporto che ha solo aeroplani, torri di controllo radar, forze dell'ordine distratte da altri compiti essenziali, ma non ha passeggeri? Vogliono forse che rapini altre tasse alle nostre tasche?
Se è vero che i soldi non puzzano, ancor meno puzzano per questi nostri politici i soldi forzatamente prelevati dalle tasche dei cittadini. Così come a suo tempo non hanno emanato maleodori sgradevoli nemmeno quelli
usati per trasformare in aeroporto fantasma, senza passeggeri, quello che doveva in realtà essere solo un campo volo per far divertire, la domenica, gli appassionati di aeromodellismo. Una versione parmigiana
della favola del brutto anatroccolo trasformato in cigno in questa città che all'essere preferisce l'apparire, incurabilmente ammalata della sindrome del ducato, di Maria Luigia e dei fasti della petit capitale.