giovedì 11 dicembre 2014

IN VINO VERITAS

Anche se adesso - a freddo - si lascia andare ai post funerei piagnistei di circostanza, l'irresponsabile (e cinico) commento a caldo del "bullo" fiorentino Matteo Renzi sullo "sciopero" degli elettori dell'altra domenica in Emilia Romagna rappresenta proprio il pensiero filosofico sulla democrazia di questo fenomeno (partorito in fretta e furia dalla politica italiana marcia e putrefatta) che, in pochi mesi, è riuscito a far resuscitare la "balena bianca" della Democrazia Cristiana, portando a compimento, vent'anni dopo, il sogno berlusconiano.

"Abbiamo vinto, l'astensione di due terzi degli elettori non é un problema è un fatto marginale", ha detto, più o meno, stordito dall'entusiasmo per avere fatto l'en plein nelle due regioni in cui si andava anticipatamente a votare. Come dicevano gli antichi "in vino veritas", la verità, cioè, è quella che viene fuori dalle bocche puzzolente ma sincere degli avvinazzati. E Matteo quando si è lasciato sfuggire  quella "bestemmia democratica" (messa in sordina dai tg-propaganda: si immagini quale castello di improperi ci avrebbero costruito sopra se a pronunciare quelle parole blasfeme fosse stato Beppe Grillo) era inebriato, in delirio, per il due a zero inflitto a babbo Silvio.
La storia si ripete in modo impressionante. Così come la politica marcia e putrefatta  dei primi anni novanta riuscì a fronteggiare e neutralizzare il "corpo estraneo" Bossi che catalizzò al nord  la protesta popolare del dopo tangentopoli con la "discesa in campo" di Berlusconi - truffaldinamente presentato dai media asserviti al sistema come il paladino del cambiamento (in effetti cambiò subito tutte le leggi che avevano consentito a vari Di Pietro di scoperchiare la cloaca del malaffare e i rapporti perversi fra politica e imprenditoria) - così ora quello stesso mondo politico, ancor più marcio e putrefatto di allora, è riuscito a inventare il "fenomeno Renzi" per fronteggiare e neutralizzare la protesta popolare sfociata nel 2012 nel "terremoto" di Beppe Grillo il cui movimento è risultato il primo partito italiano con il 25 per cento dei voti.

Un secondo "corpo estraneo" (dopo quello della Lega Nord di Bossi, prima della fusione per incorporazione a suon di euro, nella galassia berlusconiana) che andava rapidamente estirpato (o neutralizzato    con una sapiente campagna acquisti) prima che producesse danni irreversibili al sistema della artificiosa contrapposizione fra destra e sinistra finalizzata a tenere in piedi  la commistione della politica con gli affari. Ecco quindi l'invenzione del fenomeno Renzi. Con la cinica campagna acquisti di suffragi elettorali (molto labile il confine con il mafioso "voto di scambio") pagati con gli 80 euro a dieci milioni di elettori pochi giorni prima delle europee della scorsa primavera. E con il "patto del Nazareno" con Berlusconi atto a tenere in vita quella  "vacca italica" alle cui capaci mammelle i voraci politici di destra, di centro e di sinistra dal dopoguerra succhiano linfa che sarebbe vitale per i bisogni di tanti cittadini che sopravvivono andando a mangiare alle mense dei poveri, di milioni di pensionati che devono arrivare alla fine del mese con poche centinaia di euro, di milioni di giovani che non trovano lavoro,

Cosa c'è di più pericoloso, infatti -  per questo sistema politico che anche in un momento drammatico come questo è infestato da ladri e da corrotti e che non riesce fisiologicamente a fare a meno dei privilegi e non riesce a ridursi gli emolumenti da nababbi - di un Movimento politico come  quello di Beppe Grillo che restituisce allo Stato metà dello stipendio dei suoi parlamentari, dimostrando che con cinquemila euro al mese anche gli appartenenti alla casta possono vivere da privilegiati?
E' evidente che se non riesce a distruggere questa "eresia", questa "perversione" del dimagrimento della politica per dare un po' d'ossigeno a milioni di cittadini in difficoltà, sarà quel sistema stesso marcio e putrefatto ad essere spazzato via. Mi viene in mente, a questo proposito, quella notizia di qualche anno fa del sindacato di una località siciliana che chiese il licenziamento di un dipendente di un ente pubblico perché lavorava troppo e così facendo metteva in cattiva luce tutti i suoi colleghi che tutto il giorno bivaccavano in ufficio senza fare  un cazzo.

Altre  eresie da neutralizzare sono le norme contro il professionismo dei politici (massimo due mandati e poi tornare a casa al proprio lavoro) e il concetto di partecipazione popolare alla vita pubblica contenuti nel programma elettorale grillino.
Anche in tema di democrazia partecipata Matteo Renzi la pensa come babbo Silvio: meno gente va a votare, meglio è. Lo ha detto chiaramente, come abbiamo visto, a caldo, all'indomani dello sciopero elettorale - soprattutto contro il suo partito -  in Emilia. E lo sta dimostrando in questi suoi mesi di governo senza che nessuno lo abbia mai eletto, con la sua stabile occupazione delle emittenti televisive, con le sue quotidiane spacconate, con quel "io cambierò l'Italia" senza che nessuno abbia dato a lui il mandato per farlo e grazie a un parlamento di nominati e ad uno spropositato premio di maggioranza attribuito al suo partito da una legge elettorale chiamata "porcellum" e dichiarata incostituzionale.

Devo constatare, purtroppo, che a questa opera di denigrazione del movimento rivoluzionario di Beppe Grillo sta dando il suo attivo contributo il sindaco di Parma Federico Pizzarotti. Costui, primo beneficiario del "sogno" rivoluzionario del comico genovese, non perde occasione di partecipare a trasmissioni delle varie tv, di Stato e non, che dal giorno della vittoria elettorale di due anni fa si sono poste al servizio del sistema politico (destra e sinistra unite) che ha ordinato il sistematico sputtanamento del Movimento grillino.
Ho più volte manifestato la mia personale delusione per l'operato del sindaco di Parma che non ha saputo o voluto imprimere una svolta rivoluzionaria in questa città da sempre ostaggio dei poteri forti (banche e Unione Industriali) e dei poteri occulti massonici. Questo sconosciuto signor nessuno, letteralmente insediato sulla poltrona di primo cittadino da Beppe Grillo, non ha mantenuto, nella sostanza, le promesse elettorali di cambiamento esternate davanti a una folla oceanica di migliaia di persone dal comico genovese.

E il primo concreto segnale di cambiamento sarebbe stato quello di far pagare l'enorme debito ereditato dalle scellerate amministrazioni ubaldiane, a chi (cementificatori e banche) aveva contribuito a realizzarlo. Solo in un caso ciò è accaduto (fallimento Spip)  grazie al tribunale e contro la volontà di Pizzarotti che avrebbe voluto caricare sui cittadini anche quei cento milioni di debito accomulato dalla società presieduta da Calestani con quei truffaldini passaggi di proprietà di terreni il cui valore lievitava a dismisura anche nel giro di poche ore. E' sicuro che in molti si sono arricchiti a Parma con questi trucchi vecchi come il cucco e non si comprende il perché il  sindaco volesse scaricare quella montagna di debiti sui suoi cittadini, così come sta facendo con le montagne di debiti nascosti dentro alle società partecipate per aggirare il patto di stabilità e continuare a costruire opere assurde della famigerata "città cantiere£ come i ponti sulla Parma, la passerella ciclopedonale sulla via Emilia, lo scempio di Piazza Ghiaia.
Da giorni le televisioni nazionali si danno un gran daffare per pubblicizzare l'adunata dei dissidenti grillini organizzata per domenica prossima dal sindaco Pizzarotti. Finora Federico non è riuscito a farsi espellere dal Movimento. Grillo non gli ha dato l'aureola del martire. Non so se finalmente ci riuscirà. Quello che è sicuro è che anche se si proclama "non dissidente" e anche se non è stato ancora espulso, Federico Pizzarotti è virtualmente fuori dal Movimento 5 Stelle e se vuole continuare  con la politica dovrà trovarsi una diversa collocazione.  Parma, 9 dicembre 2014               

venerdì 5 dicembre 2014

LO SCIOPERO DELLE URNE CONTRO IL PATTO DEL NAZARENO


La protesta popolare contro la politica e i politici corrotti che tengono oggi in ostaggio in Italia gran parte delle istituzioni democratiche -  a cominciare da un governo nazionale e da un presidente della Repubblica  espressi da un parlamento incostituzionale, costituito non da delegati dei cittadini ma occupato da una banda di nominati dai segretari dei partiti - si è materializzata la scorsa domenica nella nostra regione in un clamoroso sciopero elettorale.
Due aventi diritto al voto su tre hanno espresso il loro disgusto, o meglio, la nausea e il voltastomaco, per questa politica praticata da affaristi e da ladroni, disertando le urne.
Evento ancor più clamoroso perché accaduto nella "rossa" Emilia Romagna, nella regione italiana che, fino all'avvento dell'incestuoso connubio fra ex democristiani ed ex comunisti, è stata goveranata da una sinistra degna di questo nome e abitata da milioni di persone che partecipavano alla vita politica (non solo in ocasione degli eventi elettorali) con passionalità e senso civico sconosciuti nel resto d'Italia.

Si andava alle elezioni anticipate per rimpiazzare un governatore post comunista - Vasco Errani - campione riconosciuto dei poteri forti non solo emiliano romagnoli, dimessosi dopo essere stato condannato in secondo grado (il primo tribunale, seguendo il consolidato andazzo di benevolenza e di sudditanza nei confronti dei politici, lo aveva assolto) a un anno di reclusione per il reato di falso idelogico relativamente ad un finanziamento regionale alla coopertaiva presieduta dal fratello.
E si era chiamati alle urne anche nel bel mezzo di una bufera giudiziaria che aveva rivelato ai cittadini emiliano romagnoli che i loro rappresentanti eletti nel parlamento regionale avevano costituito una associazione di delinquenti, trasversale a tutti i partiti (Pd e Pdl in testa) che si impossessava di denaro pubblico facendosi rimborsare spese in alberghi, ristoranti e acquisti personali di ogni genere.

Una banda di delinquenti con stipendi da nababbo, indennità sconosciute nel resto del mondo, pensioni d'oro e privilegi da signorotti medievali che sottraevano risorse vitali ad una popolazione sempre più impoverita, a giovani ai quali si negava il diritto al lavoro, ai disabili e anziani non autosufficienti.

Una banda di ladri che sguazzava nell'oro, insomma, mentre gran parte della popolazione sprofondava nella merda a causa di una crisi economica che in Italia era in gran parte dovuta alla corruzione politica e finanziaria, alle spese enormi per mantenere un enorme esercito di politicanti, oltre che, come nel resto d'Europa, alla crisi del capitalismo più sfrenato e incontrollato che, dopo il via libero ricevuto dalla caduta del muro di Berlino, aveva prodotto mega scandali finanziari come il crac Parmalat.
Nessuna meraviglia, quindi, che, per sottolineare il disprezzo - anzi, il distacco - da questa politica, i cittadini emiliano romagnoli abbiano scioperato in massa, disertando le urne.

Meraviglia, invece, il fatto che il partito democratico, principale responsabile degli scandali di casa nostra, possa dichiarare di aver vinto le elezioni (vedasi la farneticante rivendicazione di Renzi e il suo sprezzante insulto alla protesta popolare, liquidata come "fenomeno marginale") perché il suo candidato, Stefano Bonaccini, è stato eletto presidente della regione.
Una autentica vittoria di Pirro
che delegittima sul nascere un governatore che sa di essere stato scelto da meno di un quinto dei suoi potenziali elettori e sa di avere il disprezzo dei restanti quattro quinti.
L'unica nota lieta di queste elezioni è data dal fatto che esse hanno decretato la  fine dell'incestuoso patto del "nazareno" fra Berlusconi e Renzi. Le centinaia di migliaia di elettori che hanno boicottato il candidato renziano, infatti, non hanno solo espresso distacco verso un partito che abdica sempre più alla questione morale, ma anche disgusto per quell' inciucio del "bullo" di Firenze con l'ex cavaliere di Arcore che la base di sinistra del Pd non ha mai digerito.
Parma, 2 dicembre 2014.
                       

venerdì 21 novembre 2014

GLI INTERESSI PRIVATI COI SOLDI PUBBLICI

Nei giorni scorsi, a valle del nuovo Ponte Nord, nei pressi di Via Europa, vi è stato una grossa movimentazione di terra e ghiaia, con la realizzazione di nuove sponde e un consistente restringimento dell’alveo del torrente Parma. (Il tutto è documentato dalle foto in allegato).
Il timore di Legambiente è che nei prossimi giorni, in occasione del disgelo, possa verificarsi un evento di piena che eroda facilmente queste nuove sponde create tramite accumuli e che tale materiale venga trascinato a valle, con rischio di effetto tappo ed esondazione con conseguenze più pesanti di quanto avvenuto nelle ultime piene due anni fa. Ricordiamo che a valle sussistono le strutture della Cà Rossa, impianti sportivi su ambo le sponde e poi il quartiere di Moletolo.
 

A parte il rischio idraulico, l’associazione ambientalista ritiene comunque negativa la canalizzazione forzata del torrente, seppur per un breve tratto e in contesto urbano.
Legambiente chiede se Aipo, il Comune e la Provincia siano a conoscenza della realizzazione di queste nuove sponde, e in caso le abbiano autorizzate, se possono rendere noti i motivi. Inoltre Legambiente chiede agli enti preposti se ritengano che tali sponde siano atte a garantire la sicurezza idraulica
                                                                                          Legambiente Parma


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Questo comunicato - diramato da Legambiente a tutte le autorità interessate e alla cittadinanza attraverso i mass media il 22 febbraio 2012, mentre il cosiddetto ponte dei fantasmi era nel pieno della costruzione - mi è tornato alla mente lo scorso 9 novembre quando il sindaco Pizzarotti ha diramato un suo comunicato (vedasi il testo a pagina 5) di preallarme di fronte al rischio concreto che la città venisse nuovamente colpita  dalla esondazione non solo del Baganza, ma anche del torrente Parma.
In questo annuncio municipale si avvertiva la popolazione  che "Sacchetti di sabbia verranno posati anche sulla Parma in via Europa, in corrispondenza del nuovo ponte a nord, dove il torrente era tracimato il 13 ottobre".



Chissà perché, cari lettori,  lungo tutto il percorso cittadino della Parma, solo là dove è stato costruito questo mostro costato alle casse  pubbliche 70 milioni di euro (circa 140 miliardi di lire), si è dovuti  intervenire a rafforzare gli argini, temendo il ripetersi della esondazione del torrente, replay di quella avvenuta un mese prima in concomitanza con quella, ben più drammatica, del Baganza?
Hanno qualcosa a che vedere, mi sono domandato, le esondazioni del 13 ottobre e quella temuta del 9 novembre, proprio incorrispondenza - guarda che combinazione - con questo manufatto abusivo, inutile per i cittadini e utile solo - come abbiamo sempre sostenuto - per chi lo ha costruito, con quel drammatico comunicato dell'associazione ambientalista che, nella sostanza, con tutte le cautele del caso (visto che di mezzo c'era l'onnipotente ditta cementificatrice ubicata nella prestigiosa sede dell'ex convento di via Adorni) ha cercato di mettere in guardia le competenti autorità non solo sul già stranoto abusivismo edilizio di quella folle "cattedrale nel deserto" (un mastodontico edificio, ideato, progettato e costruito solo per spendere denaro statale, senza alcuna finalità pubblica), non solo sullo scempio estetico ambientale, sotto gli occhi di tutti, ma anche e soprattutto sulla pericolosità per i cittadini esposti al rischio di esondazioni proprio a causa di quei lavori senza senso?

La ghiaia e la sabbia dei fiumi,  lo sappiamo tutti, sono oro per le imprese edili, ma c'è bisogno di mettere a repentaglio un intero quartiere per procurarsele? Che bisogno c'era, per costruire quel mostro di vetro e acciaio, fuori legge, di demolire anche gli argini della Parma antistanti, con "movimentazione di terra e ghiaia", come denunciò Legambiente?  E  il costruttore non ha pensato che avrebbe messo a repentaglio la vita (e i beni) di migliaia di cittadini andando a restringere il corso del torrente?
E tutte quelle autorità alle quali Legambiente ha indirizzato e documentato quel criminoso intervento sulle sponde della Parma, perché sono rimaste a guardare?
Soprattutto perché non è intervenuta la Procura della Repubblica che non risulta abbia aperto alcun fascicolo non solo in presenza di una costruzione abusiva sull'alveo di un corso d'acqua, ma nemmeno in presenza di lavori demenziali di restringimento di quello stesso corso d'acqua, come denunciato e documentato con foto dalla associazione ambientalista parmigiana?

Non voglio nemmeno pensare, cari lettori, che il  Procuratore della Repubblica dottor Laguardia si sia tenuto ben lontano da questo mega scandalo per non indispettire l'ex sindaco Elvio Ubaldi che questa folle costruzione ha voluto a tutti i costi.
Un sindaco benemerito (che aveva molto a cuore Parma e i suoi abitanti) che, come ci assicurano alcuni suoi stretti collaboratori, si adoperò molto per far venire a Parma, sulla poltrona numero uno della Procura della Repubblica, questo magistrato, che poi, come ben sappiamo, a sua volta si adoperò molto per risolvere alcuni "problemi" penali dell'inventore della "città cantiere".
Parma, 18 novembre 2014
  

lunedì 10 novembre 2014

I FASCICOLI A LUNGA CONSERVAZIONE DEL PROCURATORE LAGUARDIA

Il dottor Gerardo Laguardia non era solo un Procuratore della Repubblica a... "lunga conservazione", come lo definii la scorsa primavera  per commentare il fatto che era ancora lì sulla poltrona che avrebbe dovuto abbandonare inderoga bilmente e improrogabilmente un anno prima, allo scadere del suo doppio mandato quadriennale. In barba a leggi e regolamenti dell'ordinamento giudiziario che vietano ad un Procuratore  scaduto di rimanere in carica nello stesso ruolo, continuava imperterrito ad esercitare le sue funzioni, evidentemente autorizzato in ciò da un Csm che nominava a macchinetta magistrati direttivi in ogni parte d'Italia, ma che non si decideva mai a designare - chissà perché - il nuovo capo della Procura di Parma.
Laguardia, però, non è stato solo un Procuratore a "lunga conservazione", come detto. Amava tenere anche, nel cassetto, qualche  fascicolo a lunga conservazione.

Uno di questi mi riguardava personalmente, essendo stato formato a seguito di una mia denuncia per calunnia all'allora colonnello dei carabinieri di Parma Gianfranco Petricca, indirizzata personalmente al Procuratore Laguardia nel febbraio 2006 e rimasta "in sonno" (l'uso di questo termine massonico è puramente casuale) fino a pochi giorni fa quando il suo successore dottor Antonio Rustico mi ha avvertito che il fascicolo era rimasto abbastanza nel cassetto di Gerardo e che, dopo quasi nove anni di giacenza, non poteva fare altro che chiedere al Giudice per le Indagini Preliminari  l'archiviazione per intervenuta prescrizione.
Le formule, però, nel diritto processuale penale hanno tutte un significato particolare. E la formula usata dal nuovo Procuratore per decretare l'estinzione del reato è stata quella della prescrizione e non per infondatezza della mia denuncia. Tradotto significa che quella mia denuncia era fondata, anche se vanificata perché rimasta incredibilmente nel cassetto di Laguardia per quasi nove anni, senza che l'ex Procuratore  decidesse - entro i canonici sei mesi - se chiedere l'archiviazione per infondatezza del reato di calunnia o  promuovere l'azione penale nei confronti dell'ex fratello di Licio Gelli. Il tempo a sua disposizione era di sei mesi, e l'abuso di questo magistrato lautamente stipendiato da noi cittadini è durato  nove anni, e senza che dal fascicolo emergesse alcun atto di indagine. Quindi un vero e proprio favore del suo ufficio  finalizzato a tenere indenne da conseguenze penali l'ex comandante dei carabinieri di Parma.

 Ora, però, la verità comincia ad emergere col cambio della guardia in Procura e la mia denuncia contro il Petricca, con una repentina inversione a 360 gradi, viene   ora considerata fondata e meritevole di portare a processo l'ex comandante provinciale dei carabinieri di Parma per calunnia nei miei confronti, cioè per avermi querelato per diffamazione sapendomi innocente. Un grave reato contro l'amministrazione della giustizia, perseguibile d'ufficio, che comporta una pena massima di sei anni di reclusione. Una soddisfazione postuma solo platonica, morale, perché nessun processo al piduista può più essere celebrato essendo intervenuta la prescrizione del reato da lui commesso.
Ma perché mi ero indotto a denunciare l'aderente alla loggia massonica eversiva P2 di Licio Gelli? Lo avevo fatto perché lui mi aveva, a sua volta, querelato per diffamazione avendo pubblicato un articolo (riprodotto integralmente a pagina 4) intitolato "Servitore dello Stato o di se stesso?". Un "fondo", questo, da me scritto dopo avere appreso, leggendo l'archiviazione di un precedente fascicolo a mio carico aperto in Procura,  che  i "suoi" carabinieri avevano effettuato indagini sul mio conto per diffamazione al Petricca senza che il massone piduista avesse nemmeno sporto querela. Indagini "di iniziativa", come le chiamano loro, illegittime, però, quando si procede per reati perseguibili a querela di parte, soprattutto se condotte - come contro di me e il mio giornale - per la bellezza di tre anni.

Non tutti i fascicoli che Lguardia avocava a sé, occorre dirlo, erano a lunga conservazione. In certi casi questo magistrato, approdato a Parma grazie  agli intrallazzi romani del sindaco Elvio Ubaldi, si trasformava in uno  "speedy gonzales" della inquisizione. Faccio solo due esempi. Quando archiviò in quattro e quattr'otto, appena preso possesso della sua poltrona di Procuratore Capo, il mega  scandalo del Duc che vedeva indagato, guarda caso, proprio Ubaldi, suo "benefattore".
E una velocità simile Laguardia la impresse proprio alle indagini (si fa per dire) contro di me per l'ultima querela calunniosa del Petricca. Mentre infatti la mia denuncia  per calunnia languiva senza speranza nel fondo (o sottofondo) del suo cassetto, quella di Petricca contro di me subiva una accelerazione che, come un boomerang,  andava poi ad infrangersi in Corte d'Appello a Bologna al cospetto di giudici veri che demolivano  la sentenza di stampo fascista (condanna a 14 mesi di reclusione, sei in più degli 8 chiesti dal Pm su ordine di Laguardia) raffazzonata alla bell'e meglio dal giudice Scippa che qualche tempo dopo, in preda forse al rimorso, si farà saltare le cervella.

martedì 4 novembre 2014

PIZZAROTTI E Il PIEDE IN DUE STAFFE


Tenere un piede in due scarpe, cari lettori, è uno dei principali  sport nazionali. Praticato da molti, specialmente nel mondo dei politicanti che addirittura ora l'hanno istituzionalizzato con il patto del Nazareno Berlusconi - Renzi. Un patto scellerato che rappresenta l'ultima trovata degenerativa di un sistema politico marcio e putrefatto che per decenni si è retto sul ladrocinio e sulla corruzione sfrenata (metà di quella europea è prodotta nella cattolicissima Italia) che ha finito per corrodere e mangiare anche se stesso. Un patto amorale e contro natura di una politica che ha travalicato ormai da tempo i confini del comune senso del pudore ma che consente all' ex cavaliere condannato per frode allo Stato di stare con un piede al governo ed uno all'opposizione, garantendo ancora per un po' la sopravvivenza a se stesso e a un giovane presidente del Consiglio che sembra essere stato creato da una sua costola, a sua immagine e somiglianza.

Non a tutti, però, cari lettori, è consentito il privilegio di tenere un piede in due staffe. Per farlo occorre essere fatti di pasta omogenea, della stessa natura. Occorre essere le classiche due facce della stessa medaglia. Berlusconi può stare contemporaneamente al governo e all'opposizione perché il fenomeno Renzi non è spuntato per caso in questo paludoso mondo politico ma è un prodotto di ingegneria genetica costruito in laboratorio da quel sistema  debosciato che, vistosi minacciato di morte dallo spuntare spontaneo dalla rabbia popolare del movimento rivoluzionario di Beppe Grillo, è riuscito a correre disperatamente ai ripari  riunendo in una le facce della stessa medaglia per sopravvivere ancora un po'.


 E non è detto che questa operazione rigenerativa abbia durata breve. Si è infatti  riprodotto in questi mesi lo stesso fenomeno che esattamente vent'anni fa vide spuntare dal nulla proprio il berlusconesimo. Allora la minaccia mortale al sistema amorale e perverso dei partiti mangiatutto, messo a nudo da Tangentopoli, fu rappresentato dalla Lega di Bossi.Un movimento politico rapidamente messo al bando, come quello di Grillo, dai giornali e dalle televisioni di Stato, organi non di informazione ma di propaganda, direttamente colonizzati o indirettamente controllati dai partiti tradizionali post democristiani o post comunisti, di destra o di sinistra. Emarginato, denigrato e messo in quarantena affinché non diffondesse i suoi germi, esattamente come accade oggi al Movimento pentastellato.

E allora la rabbia popolare contro la partitocrazia ladrona venne controllata e sopita proprio dalla "discesa in campo" di Berlusconi che fece credere a milioni di italiani di rappresentava il nuovo, la politica onesta, pulita, in contrapposizione a quella dei lestofanti. E che, poco alla volta, riuscì ad assorbire  e   a incorporare non solo le varie frange destrorse dei partiti distrutti dai pm di tangentopoli, ma anche lo stesso partito di Bossi che, arrivato a Roma, nella stanza dei bottoni, abbandonò ogni velleità rivoluzionaria fino ad integrarsi perfettamente, come sappiamo, nel sistema corrotto di questa sciagurata repubblica.

Come detto, quindi, per poter tenere il piede in due staffe occorre essere fatti della stessa pasta. Cosa che non è consentita - e qui vengo al nocciolo di questo lungo preambolo - al nostro sindaco Federico Pizzarotti.
Io lo avevo avvertito fin da subito che la sua politica del doppio binario (ammiccamento sempre crescente con i poteri forti locali che avevano fatto di tutto per contrastare la sua elezione, senza rinnegare ufficialmente la sua appartenenza al Movimento 5 Stelle) gli avrebbe forse consentito, all'inizio, di navigare in acque meno burrascose. Ma che, a lungo andare, i politici di professione locali, destrorsi e sinistrorsi, tutti in diversa misura corresponsabili del dissesto economico prodotto delle dissennate e sciagurate amministrazioni ubaldiane, senza una netta rottura con il passato e  una chiara denuncia e presa di distanze da questa pregressa stagione politica (e dai suoi padroni e padrini), avrebbero finito per  attribuirgli responsabilità che non gli competono.

Federico Pizzarotti ha forse finalmente aperto gli occhi in questi giorni in cui i vecchi marpioni della politica locale hanno attribuito a lui gli effetti catastrofici di una alluvione, quella del Baganza, che ha, invece, le sue radici nella scriteriata città cantiere di Ubaldi che ha disseminato la città di opere assurde e cattedrali nel deserto anziché destinare quei denari a lavori di pubblica utilità come doveva essere la messa in sicurezza del Baganza. Pizzarotti forse l'ha capito solo ora. Me lo fa pensare quel  passo della sua lettera di discolpa che pubblichiamo in altra pagina, indirizzata ai Ponzio Pilato di casa nostra, nella quale tira finalmente fuori le palle dicendo  che l'esondazione si sarebbe evitata se ci fosse stata "l’accortezza di realizzare una cassa d’espansione nel Baganza, anziché pensare a ponti che collegano il nulla col nulla, o a stazioni ferroviarie mastodontiche". Affermazione, questa, che mi fa pensare anche che il sindaco abbia letto nei giorni scorsi la Voce di Parma.         

mercoledì 22 ottobre 2014

GLI ALLUVIONATI PRESI PER IL CULO DA BALLARO'

RADUNATI SUL BAGANZA E MANDATI A CASA SENZA PARLARE.
 Sono sicuro, cari lettori, che gli abitanti e i commercianti del quartiere Montanara che per una decina di giorni avevano lottato disperatamente contro il fango che si era impadronito delle loro case e delle loro strade dopo la fuoriuscita delle acque dal torrente Baganza, non sentivano alcun bisogno di unire al danno la beffa. Così come non sentivano alcun bisogno di essere presi per i fondelli quei meravigliosi ragazzi che generosamente erano accorsi per portare  aiuto a quella gente così colpita dalla devastazione delle loro abitazioni.

Invece è proprio accaduto che nel nome del più becero degli spettacoli, la televisione di stato, quel carrozzone che anche la gente colpita dalle alluvioni tiene in vita pagando l'assurdo balzello del canone, abbia pensato bene di strumentalizzare quella immane tragedia per aumentare l'audience di una trasmissione politica, Ballarò, diventata ancor più inguardabile dopo l'avvento al potere di Matteo Renzi, l'uomo nuovo mandato dalla provvidenza a risolvere tutti i problemi degli italiani.
Sembrerà incredibile, cari lettori, ma a quei pochi poveri sciacalli sorpresi nei giorni scorsi ad impadronirsi di qualche oggetto salvato dalla furia dell'acqua, si sono aggiunti i ricchi responsabili di questa trasmissione condotta dal giornalista di Repubblica Massimo Giannini - di chiaro stampo Pd renziano - che hanno pensato bene di strumentalizzare il dolore e la disperazione delle persone colpite dalla alluvione col solo fine di mostrare a un pubblico famelico di disgrazie altrui che vicino a delle macerie vi erano anche degli uomini in carne e ossa. Uomini, però, senza sentimenti e, soprattutto, senza favella.

Un abominevole sciacallaggio di Stato che ha trasformato in comparse da film, belle statuine, delle persone che sentivano solo il bisogno di urlare la loro rabbia contro politici e amministratori inetti che non solo non avevano fatto nulla per evitare la catastrofe, ma che, anche dopo l'esondazione, li avevano lasciati soli.
Ed è proprio questo il motivo per cui centinaia di persone, indotte ad uscire di casa dopo avere lasciato pale e scope,  per far sapere al resto d'Italia quello che era successo e che stava succedendo a Parma, si sono viste tappare la bocca. Non c'è posto, infatti, per il dissenso  e per la protesta nell'era del consenso totale renziano.
E così, dopo una prima carrellata sul popolo parmigiano dell'alluvione, sui nostri "angeli del fango", è giunto da Roma l'ordine del "tutti a casa, adesso non servite più".

Non si deve sapere nel resto d'Italia, in diretta televisiva, che una regione "rossa" modello come l'Emilia non si interessa dei corsi d'acqua che minacciano una popolazione di 180 mila abitanti. Non si deve sapere che in questa regione, esempio europeo di amministrazione efficiente e virtuosa, quattro anni fa si stipulò, dopo altre esondazioni meno catastrofiche, un accordo di programma con lo Stato in base al quale si dovevano effettuare opere urgenti sugli alvei dei corsi d'acqua. E che una delle opere più urgenti era ritenuta proprio la messa  in sicurezza del Baganza con la costruzione di casse di espansione che, se esistenti, avrebbero salvato la città dalla esondazione.

Non si deve sapere che i soldi mai arrivati a Parma per mettere in sicurezza la città dalle esondazioni del Baganza sono invece arrivati abbondanti (oltre 70 milioni di euro)  per costruire un demenziale ponte abusivo sul torrente Parma. Demenziale e abusivo perché costruito in barba a leggi e regolamenti che impediscono di edificare oper destinate ad essere abitate sui letti dei fiumi.
E soprattutto mamma  Rai non deve far sapere agli italiani che in Parlamento si sta cercando di far passare di strafuso - con un emendamento sotto banco ad un articolo della legge "sblocca Italia" - la sanatoria di questa delinquenziale opera abusiva.
Ecco allora spiegato perché, dopo un'ora passata nella spasmodica attesa di poter finalmente parlare per far sapere al resto d'Italia la verità su quello che era accaduto a Parma, a centinaia di alluvionati "convocati" nei pressi del ponticello crollato, è stato detto dalla cronista di Ballarò: "Mi hanno comunicato da Roma che è saltata la scaletta, il collegamento finisce qui, andate pure a casa, mi dispiace...".

Le telecamere per raccogliere la protesta e l'indignazione degli alluvionati e degli "angeli del fango" venivano spente. Ma non quelle per raccogliere le parole di circostanza del sindaco Pizzarotti che lì vicino, nascosto come un carbonaro dentro al parco alluvionato di Villa Parma,  veniva intervistato da Giannini che, incurante dell'alluvione e degli alluvionati, voleva sapere da Federico cosa pensasse delle ultime espulsioni di Beppe Grillo dopo lo striscione di protesta al Circo Massimo.
Una penosa strumentalizza- zione politica non solo da parte di un conduttore Tv che "tiene famiglia", ma anche da parte di un sindaco esibizionista che, pur di finire sullo schermo, non perde occasione di denigrare il Movimento 5 Stelle sputando nel piatto dove, grazie a  Grillo, sta mangiando da oltre due anni.

martedì 21 ottobre 2014

QUANDO ELVIO FACEVA L'ANFITRIONE CON I SOLDI DEI PARMIGIANI.

 Quando partecipi a feste dove puoi gozzovigliare allegramente con ospiti importanti, belle donne, orchestre e cori che allietano i momenti di noia e abbuffate con tavolate dove non manca nulla, con in bella vista le "eccellenze" tipiche della "food valley" abbondantemente "bagnate" con vini pregiati, in uno scenario suggestivo come quello della "Chartreuse" immortalata da Stendhal, la libidine, cari lettori, deve salire alle stelle. E ancor di più se sai che mangi, ridi, bevi e ti diverti a "sbafo", coi soldi di quei fessi e "sfigati" (i cittadini di Parma) che in quel momento sono magari al lavoro, o all'ufficio di collocamento a cercare lavoro. O, peggio ancora, che stanno vivendo il dramma della casa messa all'asta dalla banca perché non riescono più a pagare il mutuo o da Equitalia perché non riescono a pagare le tasse, o che sono al freddo e senza luce perché mamma Iren ha tagliato i fili e sospeso le forniture del gas perché non riescono più a pagare le bollette.

E la libidine deve raggiunere la massima potenza in capo all'anfitrione di quel banchetto da favola, che viene riverito, omaggiato e ossequiato come una star dagli ospiti illustri e dai cortigiani.
Il mugnifico padrone di casa era proprio lui, Elvio Ubaldi, il sindaco di Parma, quel 21 maggio 2006, generosissimo anfitrione di quel sontuoso ricevimento indetto per festeggiare alla grande la conclusione degli... eventi di... Elementi, una delle più incredibili macchinine mangiasoldi prodotte dalla "macchina dei debiti" inventata dal "piccolo zar" di Vigatto nel momento del suo maggior splendore.
La felicità sembra sprigionargli dagli occhi, quando viene immortalato vicino alla Cesara Buonamici, ad Antonino Zichichi (serviva anche uno scienziato per elevare di tono quella abbuffata) e a una gran gnoccona bionda, mezzo metro più alta di lui. Ci appare  in gran forma.  Jeans alla moda dei vip casual, con camicia a righe, giacca blu e cravatta arancione in tinta coi mocassini beige. Scolpito in volto il sorrisetto sbarazzino e sereno del bambino che ha appena scoperto il posto dove la mamma ha nascosto la nutella, sapendo che può anche mangiarsela tutta d'un colpo perché mammina sta al gioco e fa finta di non vedere.

 Quando infatti Elvio Ubaldi sta sputtanando tutti quei soldi dei parmigiani con quel sontuoso ricevimento alla Certosa (luogo che pensavamo fosse sobrio, adibito alla istruzione dei custodi delle carceri, non certo ritrovo di parassiti festaioli coi soldi dei cittadini), sa che non corre il rischio che qualcuno lo chiami a rispondere di quello sperpero di denaro pubblico. E'  giunto al quarto anno del suo secondo mandato di sindaco e, mentre nel resto d'Italia le Procure sbattevano in galera pubblici amministratori per poco o niente, lui ha potuto impunemente, senza che nessuno andasse a mettere il naso in quello che faceva, sperperare denaro pubblico in faraonici ponti per sorpassare pochi metri a sud sulla Parma e, a nord, un ponte "abitato", ma che non si può abitare; ciclopiche passerelle ciclopedonali per passare da un lato all'altro della via Emilia; lo scempio (attuato) di Piazza Ghiaia e quello (solo progettato) dell'Ospedale Vecchio;  le gallerie (abortite) che dovevano partire dall'Arco di san Lazzaro e sbucare un ramo al Petitot e l'altro davanti al Barilla Center; la follia di una metropolitana in una città come Parma che si attraversa a piedi in un quarto d'ora. E, soprattutto, la maledizione di un inceneritore che appesterà l'aria per i prossimi trent'anni, vomitando sulla città veleni di ogni genere e soprattutto diossine e polveri sottili che colpiranno la popolazione con malattie anche tumorali. Senza contare le centinaia di migliaia di euro sputtanati in consulenze d'oro come quella (15 mila euro) elargita al suo avvocato personale Antonino Tuccari per una mezza giornata a Bologna in occasione del processo per l'uccisione del piccolo Tommy.

Elvio Ubaldi quel giorno, alla Certosa, era anche sereno e tranquillo, mentre sperperava i nostri soldi, anche perché ben sapeva che aveva goduto della impunità anche per il mega scandalo dell'appalto del Duc che, dopo il sequestro del cantiere e la sua incriminazione per abuso d'ufficio e falso, era finito, come si suol dire, a "tarallucci e vino", dopo il provvidenziale arrivo a Parma del Procuratore Laguardia grazie alle sue raccomandazioni presso gli amici casiniani introdotti nel Csm.
E l'Ubaldi, quando intratteneva coi soldi dei parmigiani quelle centinaia di invitati alla Certosa, sapeva anche che sarebbe finita allo stesso modo, cioè senza alcun danno per lui, quell'inchiesta sui dirigenti comunali che avevano fatto carriera senza titoli e senza concorsi.
Come quella di sua moglie Cristina Trombella. Mentre infatti si dava tanto da fare "per il bene della città", da buon marito e premuroso padre di famiglia, non disdegnava di utilizzare anche un po' dei soldi delle casse comunali per migliorare la situazione lavorativa della sua metà, andando incontro al suo sogno di lasciare il limbo della impiegata comunale, per approdare nell'olimpo dei dirigenti.
Per soddisfare questa comprensibile ambizione, Elvio non aveva badato a spese e, men che meno, all'uso di tutti i mezzi che il suo ruolo di sindaco - padrone gli metteva a disposizione. In modo spregiudicato, senza il minimo senso del pudore.

Il rocambolesco percorso dirigenziale della signora Trombella (retribuito con cinquemila euro mensili di stipendio, oltre ai "premi di risultato" che non si negavano a nessuno, figurarsi a lei) inizia alla metà del 2004 quando in Comune viene modificato addirittura il regolamento comunale per adattare i requisiti richiesti per l'assunzione di dirigenti alle necessità della signora Ubaldi. Gli escamotages poi si susseguono senza freni inibitori. La signora Trombella si licenzia da dipendente comunale e lo stesso giorno delle sue dimissioni Ubaldi, pardon, la Giunta ubaldiana, la assume con contratto privato a tempo determinato in qualità di direttore della Istituzione Casa della Musica. E ciò scavalcando una quindicina di dirigenti del Comune in lista d'attesa, che avevano tutti i requisiti per quel ruolo. Incredibile, ma vero. Interessi privati coi soldi pubblici.
Ora, ripensando a tutti questi eventi e alle feste come quelle della Certosa, non so come la pensiate voi, cari lettori, ma io faccio una gran fatica a non imbracciare il forcone, sapendo come Ubaldi e C. sputtanava  i soldi che adesso mancano per riempire le buche nelle strade, per la manutenzione nelle scuole e per le rette degli asili.      

venerdì 17 ottobre 2014

LA CITTA' CANTIERE DI UBALDI E QUELLA DEI RAGAZZI CON LE PALE

Se non fosse dipartito un paio di settimane fa, Elvio Ubaldi avrebbe potuto vedere da vicino, in presa diretta e in tempo reale, gli strabilianti effetti della sua magnifica "città cantiere".
Abitava nello stesso quartiere, il Montanara, andato sott'acqua per la furia del Baganza e avrebbe potuto assistere - magari aggrappato al camino o all'antenna della Tv, scappato sul tetto della casa per tema di vedersi arrivare addosso fra le sue mura domestiche tonnellate di melma - allo straripamento del torrente, allo sradicamento della vegetazione, al rumore sinistro dei container e degli alberi sbattuti contro i ponti, allo schianto delle automobili sollevate dalle strade come fossero bidoni di plastica, scaraventate contro i muri, le cancellate dei palazzi, i tronchi delle piante e parcheggiate, magari con le ruote all'insù, nell'orto di un vicino.



E poi, il giorno dopo, avrebbe potuto vedere l'altra faccia prodotta da quella "sua" città cantiere. Un piccolo esercito di ragazzini, vestiti con jeans e stivali di gomma, armati di scope e pale, passare di casa in casa a soccorrere le persone anziane, svuotare dal fango cantine, garage e primi piani delle case, ammassare detriti e suppellettili distrutti, ripulire strade e marciapiedi.
Un piccolo esercito di ragazzini, parmigiani o piovuti da chissà dove, che andava ingrossandosi  di ora in ora, che, senza chiedere nulla in cambio, faceva materialmente sentire a tanta gente disperata, che per tante ore si era sentita abbandonata a se stessa, che non erano soli ad affrontare quella immane tragedia. Un piccolo meraviglioso esercito di ragazizni che in poco tempo è diventato la vera protezione civile in questa città dove incredibilmente, nel momento dell'emergenza, erano saltate tutte le comunicazioni, anche quelle via internet che di solito si sostituiscono a quelle telefoniche in caso di calamità.
Ecco le due facce di Parma. Una città devastata da una natura che si è ribellata a politici inetti e megalomani che per decenni hanno sperperato montagne di pubblico denaro per opere assurde e inutili. O meglio, utili solo ai cementificatori che le costruivano, non certamente ai cittadini che le pagavano.

E l'ultima montagna di soldi dei cittadini veniva "sputtanata" da Ubaldi per costruire la più demenziale cattedrale nel deserto che mente umana potesse concepire. Mi riferisco, ovviamente, a quel ponte a nord sulla Parma che, in occasione di quest'ultima piena, ha rischiato addirittura di  ostruire un torrente che si era inteso mettere in sicurezza costruendo quelle casse di espansione in località Mamiano che pare abbiano salvato in questi giorni la città da una inondazione che avrebbe rappresentato una catastrofe di inimmaginabili proporzioni.
Ebbene il mixage fra politici e amministratori  megalomani e servi dei potenti, architetti scriteriati e costruttori famelici, abituati a  mungere gli enti  pubblici "collusi" fino a mangiarsi anche le mammelle, ha prodotto quella costruzione obroriosa in mezzo al torrente, contro la quale è andata paurosamente ad infrangersi l'ondata di piena della Parma. Una vera e propria cattedrale nel deserto che da qualsiasi altra parte del globo avrebbe anche portato in galera i suoi ideatori perché concepita nel totale disprezzo delle norme giuridiche che vietano tassativamente di costruire manufatti destinati ad essere abitati sugli alvei dei fiumi.

Ma quello che è peggio è che quella montagna di denari pubblici, sperperata per questa demenziale opera abusiva, poteva  e doveva essere impiegata per mettere in sicurezza il torrente Baganza con la costruzione a monte della città  di quelle casse di espansione che avrebbero evitato la drammatica esondazione che ha sommerso il quartiere Montanara. Perché non si è usato quella montagna di soldi pubblici per costruire un'opera che in un protocollo di intesa fra Stato e Regione Emilia Romagna era stata dichiarata  urgente e prioritaria, per mettere in sicurezza una città di 180 mila abitanti?
Perché il piccolo zar di provincia ha preferito e i suoi politici di riferimento romani hanno preferito scialacquare quei soldi in una costruzione abusiva sul greto della Parma? Un'opera assurda e criminale che andava ad aggiungersi a tante altre della stessa categoria, come il ponte sbilenco a sud sulla Parma, la passerella ciclopedonale sulla via Emilia, lo scempio di piazza Ghiaia e altre solo immaginate  progettate da quei cervelli megalomani e per fortuna abortite come la follia della metropolitana e lo stupro dell'Ospedale
Vecchio.

L'unico aspetto positivo di questa terribile tragedia che ha colpito un grande quartiere della nostra città, è stato lo spuntare come funghi di qegli straordinari ragazzi - di cui Parma evidentemente è ricca - che in questi giorni hanno riempito la "città cantiere" ricevuta in eredità da Ubaldi che, con stivali, scope e pale, senza che nessuno glielo chiedesse, e senza ricevere nulla in cambio, hanno restituito a questa nostra città la dignità perduta e hanno rappresentato per tanta gente caduta in ginocchio un motivo valido per continuare ad avere speranza nel futuro.

venerdì 10 ottobre 2014

FEDERICO VUOL FAR LE SCARPE A BEPPE...COME COMICO

La sindrome della grandeur del ducato marialuigense deve essere una malattia così contagiosa da appiccicarsi addosso, inevitabilmente, a tutti quei politici e politicanti che in questa città vengono a contatto
con le leve del comando nei palazzi del potere.   Anche se provengono dalla campagna e fino al giorno prima pulivano le stalle e accudivano le giumente, quando inforcano l'abito della festa e, profumati e imbellettati, varcano il portone del Teatro per la prima del Regio vengono inevitabilmente contaminati. E nel foyer passano e ripassano cento volte davanti alla telecamera fino a quando la telecronista non li cattura per fargli commentare in diretta l'opera
verdiana.

E' in quel momento lì che si realizza il sogno di una vita. Si sentono improvvisamente importanti. E li senti parlare e sparlare, rigorosamente con la erre francoaustriaca, dell'opera verdiana da grandi
intenditori, da melomani incalliti, anche se la sola musica che avevano sentito fino a quel momento era il muggito delle bestie che reclamavano il foraggio.
La malattia, quando a notte inoltrata tornano a casa, li ha presi totalmente, anima e corpo. Una malattia difficile da curare. Non c'è vaccino che tenga.
E se per caso sono diventati il sindaco della città, cominciano a sognare le piramidi, i grandi ponti tipo Brooklin, la tour Eiffel (che a Parma può prendere le sembianze, per carenza di ferro, di una più
modesta pista ciclopedonale per sorpassare 5 metri di via Emilia), le metropolitane, gli aeroporti intercontinentali, e via di questo passo.

Negli ultimi tre lustri la sindrome megalomaniaca non ha lasciato immuni alcuno dei sindaci parmigiani. Nemmeno Federico Pizzarotti, primo sindaco grillino italiano, eletto un paio di anni fa sull'onda lunga,
che pareva devastante, dell'antipolitica e del malgoverno, è rimasto indenne.
Per fortuna (dei parmigiani), però, quando è entrato per la prima volta al Regio era sì "rifatto", ma senza soldi. I suoi predecessori Ubaldi e Vignali lo avevano lasciato in brache di tela. E allora lui, non potendo
materialmente costruire altre cattedrali nel deserto oltre a quelle lasciate da pagare ai parmigiani da Elvio e Pietro, ha dovuto per forza di cose dar sfogo alla sindrome marialuigesca come ha potuto, coi pochi
mezzi materiali a sua disposizione.

Come tutti ben sappiamo, si era trovato a fare il sindaco di Parma per puro caso. Da ignoto operatore informatico, si è improvvisamente ritrovato, senza riuscire a farsene una ragione, catapultato da Beppe
Grillo sulla poltrona di primo cittadino, inseguito dalle telecamere di tutto il mondo come un fenomeno da baraccone. Prima creatura politica del comico genovese.
Ma Pizzarotti non era un grillino italiano qualsiasi. Era un grillino parmigiano, ultimo erede della duchessa austriaca, moglie pluricornificata di Napoleone. E ritrovandosi come detto con le casse
solo piene di debiti, non poteva pensare di costruire un altro ponte abitato sulla Parma o di riprendere
in mano il progetto ubaldiano della metropolitana abiurato da Vignali. E allora per sfogare la sindrome della grandeur che si impadronisce di tutti i politici parmigiani - dopo un timido tentativo di salvare, senza
un euro, l'aeroporto - ha dovuto ripiegare su sogni a costo zero.
Il suo primo obbiettivo, se realizzato, supererebbe addirittura in megalomania la "città cantiere" di Ubaldi. Federico "il grande", cari lettori, si è messo in testa di prendere il posto di Beppe Grillo alla
guida del Movimento 5 Stelle.
Avete capito bene. Dopo avere rinnegato il programma elettorale imposto a tutti i candidati dal comico genovese.

Dopo avere cercato di realizzare a Parma la "grande intesa" con gli altri partiti provinciali, roba dell'altro mondo per il Beppe Nazionale.
Dopo avere elogiato i vari espulsi dal Movimento e intrallazzato con loro. Dopo tutte queste ed altre azioni che hanno fatto incazzare il suo padrone genovese, avrebbe anche cercato di aizzare alcuni parlamentari
grillini alla ribellione contro il gran capo. Con la recondita aspirazione di prenderne il posto.
Ve lo immaginate voi, cari lettori, il Movimento pentastellato capeggiato da Federico dopo la cacciata di Grillo? Vi immaginate le folle oceaniche che radunerebbe l'ex tecnico informatizzato ai suoi comizi?

Un vero e proprio golpe allo stato embrionale (per adesso) di fronte al quale Grillo, preoccupatissimo, ha reagito con alcune drastiche misure in vista della grande adunata romana di questo fine settimana.
Innanzitutto tenerlo lontano dal circo (Massimo) creandogli attorno un impenetrabile cordone sanitario. Niente palco e divieto di indossare la pettorina nel caso chiedesse di rendersi utile nel servizio ai
partecipanti. Beppe ha poi disposto una vigilanza per impedirgli anche di infiltrarsi, camuffato da vu cumprà, per vendere ai partecipanti bibite, gelati o, in caso di pioggia, ombrelli.
Federico, però, dall'alto del suo blasone marialuigiano, non fa una piega di fronte a questi diktat. E' l'erede di un ducato e continua a pensare in grande. Grillo ha attraversato a nuoto lo stretto di Messina per conquistare i voti dei siciliani? Lui non vuole essere da meno e si sta già esercitando nel laghetto del giardino ducale in attesa che il il Magistrato per il Po apra le chiaviche della cassa di espansione e lui possa anche tentare l'attraversamento, da una riva all'altra, della Parma.
Si tratta ora solo di vedere come finirà questa contesa. Io, cari lettori, penso che difficilmente Federico riuscira a far fuori Beppe dal movimento politico.
Chissà invece che non riesca a subentrargli come comico.

lunedì 6 ottobre 2014

QUANDO IL GRAN MAESTRO CERCO' DI METTERCI IL BAVAGLIO

La lettera inviata la scorsa settimana dal "cattolicissimo" (autodefinizione) Carlo Salvatori non a noi (chissà perché?) ma al foglio mortuario degli industriali di Parma, è non solo denigratoria nei nostri confronti per gli insulti gratuiti che ci propina, ma anche e soprattutto patetica, stante il penoso tentativo di rinnegare una appartenenza ad una associazione segreta - quella dei fratelli incappucciati - che non ci siamo certamente inventati noi, ma che è rivelata da un documento ufficiale proveniente da una indagine della Procura della repubblica, da noi tra l'altro già reso noto anni fa, senza suscitare, allora, alcuna reazione da parte del banchiere. Cosa che ci fece pensare che, lungi dal rinnegare la conclamata sua appartenenza alla massoneria, ne andasse addirittura fiero e orgoglioso.
 C'è da capirlo. I tempi sono profondamente cambiati. Allora, quasi tre lustri fa, il Salvatori era all'inizio di una brillante carriera e vestire il "grembiulino" si sa, anche nel mondo bancario, come in quello ospedaliero, universitario e imprenditoriale in genere, può aiutare a superare ostacoli e concorrenti quando si è in corsa per i traguardi più ambiti.

Oggi, però, che Carlo Salvatori entra a far parte della corte del Papa diventando uno dei consiglieri di amministrazione dello Ior, la banca vaticana, avergli tolto il cappuccio dalla testa ed avere mostrato il
suo volto deve averlo indispettito non fosse altro per il fatto che anche dopo la nomina dell'innovatore Papa Francesco, rimane intatta la condanna e la scomunica di Santa Romana Chiesa, senza se e senza ma, nei
confronti delle massonerie di vario stampo e dei massoni che vi aderiscono.

A chi chiedeva se il giudizio della Chiesa nei confronti della massoneria fosse mutato, per il fatto che essa non venga espressamente menzionata nel nuovo Codice di Diritto Canonico, con un documento pubblicato il 26 novembre 1983 dalla Congregazione per la dottrina della fede, redatto dal futuro papa Joseph Ratzinger e approvato da papa Giovanni Paolo II si enunciava: "Rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, perché i loro principi sono sempre stati considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l'iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche
sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione".

Ovvio, quindi, che nel momento in cui Salvatori viene chiamato ad amministrare la "banca del papa" si sia resa necessaria - qualcuno in alto loco deve avergliela richiesta per salvare le apparenze - la smentita fatta tramite il foglio funerario di casa nostra.
Non è la prima volta, tra l'altro, che la nostra stampa libera è oggetto di tentativi di censura quando cerca di sollevare un velo su questo mondo occulto che proprio sull'incappucciamento, cioè sulla segretezza
della identità dei suoi adepti, fonda la propria ragion d'essere e la propria capacità di pemetrare, influenzare e inquinare pesantemente le attività dei palazzi istituzionali, compresi quelli - e di questo ne siamo testimoni oculari - che amministrano la giustizia.

Accadde già in quegli anni che cominciai a pubblicare sul "Giornale di Parma" i primi nomi dei massoni parmigiani. Il panico si impadronì di questa grande e strapotente famiglia quando parlai di loro in un fondo
intitolato "Diritto massonico parmigiano". Vi introdussi un rigo con un numerino (ricevuto anonimamente da un lettore) che individuava la loggia di appartenenza di un vecchio avvocato massone che avevo visto poco
tempo prima fare il bello e cattivo tempo in tribunale. La cosa che più mi aveva colpito in lui era stata l'"agilità" con cui si muoveva, nonostante l'età, dentro l'ufficio di un giudice che aveva poi
sequestrato i beni del giornale per conto di un noto imprenditore parmigiano, noto anche a quasi tutte le Procure d'Italia, più volte arrestato (mai però a Parma)e diverse volte condannato per reati contro
la pubblica amministrazione. Il dubbio che mi aveva assalito fu che quel giudice non fosse solo un somaro, ignorante delle leggi, ma invece un "fratello" degli altri due (imprenditore e suo avvocato), obbediente
cioè, anziché alle leggi, alla legge delle logge.
 Quel numerino, comunque, gettò il panico fra i "fratelli" di Parma che mobilitarono addirittura il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. Niente meno, quindi, che il potentissimo grande capo della massoneria. Questi si arrabbiò non poco con noi, come risulta dalla sua lettera che pubblichiamo in altra pagina di questo giornale.Ma non ottenne un gran che. Gli risposi con un altro fondo intitolato "I massoni han tremato" dove sostenevo che se questa associazione è benemerita e i suoi fini sono filantropici, come sostengono loro, non c'era motivo perché nascondessero la loro faccia. E gli dissi che se invece si tratta di una organizzazione occulta che protegge e promuove gli interessi degli aderenti, a danno quindi dei restanti cittadini, questi ultimi, cioè i cittadini che non ne fanno parte, hanno il diritto sacrosanto di difendersi strappando loro il cappuccio dalla testa.
Di fronte a questo conclamato diritto alla legittima difesa, il Gran Maestro della massoneria si rivolse al garante della privacy che, per nostra fortuna, allora era il professor Stefano Rodotà. Di fronte a quella richiesta di inibirci la pubblicazione degli elenchi degli associati, rispose picche, dichiarando inammissibile il ricorso. Non ammetteva ricorsi collettivi. Ogni massone, gli rispose Rodotà, avrebbe
dovuto proporre un ricorso individuale, firmandolo di proprio pugno. I massoni di Parma non accolsero il mio appello a proporre questi ricorsi individuali. Capirono che se lo avessero fatto, avrebbero dovuto
togliersi il cappuccio e noi non avremmo avuto alcun bisogno di pubblicare i loro elenchi per difenderci.

sabato 4 ottobre 2014

DE PROFUNDIS PER UN AEROPORTO MAI DECOLLATO

Crediamo sia evidente come la questione dell’aeroporto abbia una rilevanza simbolica e strategica. Simbolica perché segnerebbe un altro insuccesso e un altro indebolimento del sistema Parma, strategica perché il nodo viario e logistico di Parma subirebbe un ulteriore colpo minandole sue potenzialità: senza la Pontremolese almeno nel medio periodo econ la stazione medio padana a Reggio Emilia la creazione di un sistema integrato, che veda Parma strategicamente inserita, necessitadell’aeroporto. Nei mesi scorsi, a fianco dei soci pubblici e privati della società di gestione dello scalo cittadino, abbiamo ottenuto l’inserimento del Verdi nel piano nazionale aeroporti del Governo e il rilascio della concessione da parte dello Stato. Un risultato
nient’affatto scontato che non può ora essere disperso.

Le parole responsabili del Presidente di Sogeap non possono essere lasciate cadere nel vuoto e impongono risposte, iniziative concrete e forti. Questa tocca in prima persona al sindaco e alle altre istituzioni locali che
devono riflettere sulla situazione complessiva della città di cui questa ulteriore crisi è un sintomo molto grave. E’ urgentissima la convocazione di un tavolo di crisi per riprendere il filo di quella azione congiunta che ha portato all’ottenimento dei risultati prima ricordati, lo stesso è indispensabile per uscire da questa situazione.
Patrizia Maestri, Giuseppe Romanini e Giorgio Pagliari

Informo i nostri lettori più insofferenti dei tetrini della politica, locale e nazionale, che i signori Maestri, Romanini e Pagliari, firmatari di questo drammatico appello per il salvataggio dell'aeroporto di Parma che starebbe esalando gli ultimi respiri, sono gli unici tre parlamentari parmigiani (tutti del Pd) usciti fuori dalle elezioni politiche del febbraio 2013 e rappresentano quindi - o dovrebbero rappresentare - a Roma gli interessi dei cittadini del nostro territorio. Sono quelli che un giorno sì e l'altro pure inviano comunicati agli organi di stampa per farci sapere che dopo il voto non ci hanno dimenticati, che non riescono a non pensare a noi nemmeno per un momento, che ci vogliono un bene dell'anima e che non riescono ad andare a letto la sera se, durante il giorno, non hanno cercato di adoperarsi in ogni modo per risolvere i nostri problemi e soddisfare i nostri bisogni.

Sono loro, tanto per fare qualche esempio, che un giorno sì e l'altro pure chiedono al governo romano il raddoppio della Pontremolese per farci arrivare più velocemente al mare; e il raddoppio della via Emilia per non farci perdere, dopo la stazione mediopadana, anche i treni dell'alta velocità che dobbiamo andare a prendere a Reggio. Sono loro che chiedono continuamente soldi (senza ottenere un pio) per i nostri
terremotati o alluvionati e le sovvenzioni per i produttori delle "eccellenze" della nostra food valley messi ko dalla scellerata politica del loro leader e nuovo uomo della provvidenza (un vero e proprio clone
di Berlusconi) che si accoda agli americani non solo sui vari scenari delle guerre bushane (esponendo tutti noi alle vendette dei taglia gola) ma anche nelle scellerate sanzioni suicide contro la Russia che stanno
mettendo in braghe di tela i nostri agricoltori e che ci costringeranno tutti al fresco nel prossimo inverno quando Putin chiuderà i rubinetti del gas.

E sono loro che - anziché pensare ai cazzi loro e godersi gli stipendi da nababbi che ci rapinano e i privilegi da signorotti medievali che prima delle elezioni avevano promesso di abolire - cercano anche di farci dei danni, come qualche mese fa (ce lo ricordano nella loro lettera) quando hanno ottenuto l'inserimento del Verdi "nel piano nazionale aeroporti del Governo". Una beffarda messa in scena da parte di politici che ben sapevano che per rianimare quello scalo agonizzante occorreva trovare degli utenti che se ne servissero per volare, non un pezzo di carta con dei timbri sopra che, senza quei passeggeri, non serviva a niente e aveva solo lo scopo di prolungare un insensato "galleggiamento" senza staccare la spina, con altro denaro pubblico.
La verità è che l'aeroporto di Parma, in un Paese normale, dove i politici non mettono naso dappertutto, non aveva ragione di esistere.

  E se ci portiamo dietro da decenni questa maledizione che ha succhiato dalle tasche dei parmigiani ingenti quantità di denaro sottratte ai bisogni sociali, lo dobbiamo all'ex parlamentare socialista Fabio Fabbri che ottenne dal Governo di Craxi questa cattedrale nel deserto, ennesimo vuoto e stupido (oltre che costoso) tributo alla grandeur parmigiana da parte di una classe dirigente megalomane che, grazie alle sue
bagolonate, sbruffonate e ai suoi imbellettamenti, ha portato allo sfascio le casse comunali.
Non c'è da stupirsi, quindi, cari lettori, se i politici locali di tutte le razze (ieri quelli destrorsi doc, oggi quelli sinistrorsi convertitisi al capitalismo nel post comunismo), seguaci del liberismo e della libera concorrenza elevata a dogma, corrono al capezzale della vacca da mungere quando sentono che sta per dare gli ultimi muggiti.

E non c'è da stupirsi se improvvisamente diventano tutti degli statalisti bolscevichi convinti e invocano sciagurati salvataggi con il solito pubblico denaro, rapinato dalle tasche dei cittadini.
Ovvio che i parlamentari Pd di Parma, perfettamente in linea con i loro predecessori di tutti i colori, si siano riversati al capezzale di questo pozzo di San Patrizio che sta per chiudere il fondo, dopo avere ingoiato per decenni decine di miliardi. Denaro dei cittadini che ogni anno Comune, Provincia e Camera di commercio riversavano per ripianare i bilanci fallimentari di uno scalo che è servito solo a Tanzi e Pizzarotti (il cementificatore) per parcheggiare vicino a casa i loro aerei personali e per sbandierare una grandeure parmigiana ridicola visto il merdaio dove hanno sprofondato i nostri concittadini.

Cosa c'entra l'altro Pizzarotti (il sindaco), che i nostri parlamentari tirano in ballo per salvare un aeroporto che ha solo aeroplani, torri di controllo radar, forze dell'ordine distratte da altri compiti essenziali, ma non ha passeggeri? Vogliono forse che rapini altre tasse alle nostre tasche?
Se è vero che i soldi non puzzano, ancor meno puzzano per questi nostri politici i soldi forzatamente prelevati dalle tasche dei cittadini. Così come a suo tempo non hanno emanato maleodori sgradevoli nemmeno quelli
usati per trasformare in aeroporto fantasma, senza passeggeri, quello che doveva in realtà essere solo un campo volo per far divertire, la domenica, gli appassionati di aeromodellismo. Una versione parmigiana
della favola del brutto anatroccolo trasformato in cigno in questa città che all'essere preferisce l'apparire, incurabilmente ammalata della sindrome del ducato, di Maria Luigia e dei fasti della petit capitale.