lunedì 27 luglio 2015

LA LEGITTIMA DIFESA DEI PARMIGIANI CONTRO L0INCENERITORE: BOICOTTARE IREN


           Enia, la multidannosa società per azioni che sotto il nuovo nome di Iren ha costruito - con finalità meramente speculative, con l'appoggio dello sputtanatissimo Partito Democratico e incurante della protesta popolare -  il "mostro" nel quartiere Spip, a due passi dalla Barilla e a un tiro di schioppo da piazza Garibaldi, non smette di avanzare richieste provocatorie. L'ultima ella serie, sul tavolo del nuovo presidente sinistrorso dell'ente inutile  provinciale Fritelli (per fortuna Bernazzoli dopo essere stato clamorosamente trombato alle elezioni comunali è scomparso dalla circolazione) è quella di aprire le porte dell'inceneritore ai rifiuti provenienti da tutta Italia per bruciare quelle 195 mila tonnellate di rifiuti per poter trarre il massimo profitto col massimo danno della salute dei cittadini. Una eventualità, quella di attrarre rifiuti da fuori provincia,  negata a suo tempo con sdegno sia da Enia che dai suoi padrini politici del Pd, insieme al volgare ricatto  (benefici economici per compensare un'aria da respirare più appestata) di una diminuzione delle tariffe sulla raccolta rifiuti che già all'epoca erano di gran lunga superiori a quelle praticate nelle limitrofe  provincie   di Piacenza e Reggio Emilia. Un volgare ricatto anche truffaldino perché nella realtà , dopo l'entrata in funzione del "mostro" è aumentata solo l'insalubrità dell'aria a fronte della quale non si è vista alcuna diminuzione della bolletta rifiuti che, addirittura, pare sia in procinto di essere gonfiata.
Gli avvocati De Angelis e Allegri - rimasti da soli a lottare contro il "mostro", dopo che il sindaco Pizzarotti e la sua Giunta di grillini rinnegati hanno dimenticato anche in questo campo le promesse elettorali che avrebbero dovuto vederli rivoluzionariamente a protezione dei legittimi interessi  dei cittadini, anziché fiancheggiatori, di fatto, degli illegittimi interessi dei poteri forti - hanno riesumato un solenne proclama, esternato alla città a pagamento, coi nostri soldi, sul foglio mortuario degli industriali (vedi foto a lato), nel quale si assicurava  la totale innocuità del "mostro" e si garantiva la riduzione della esosa bolletta dei rifiuti. Balle, naturalmente, sia quelle  sul mancato inquinamento atmosferico, sia quelle che facevano leva sul portafoglio sempre più sgonfio dei parmigiani, dell'alleggerimento della supertariffa imposta a fronte di una raccolta rifiuti che, producendo enormi utili a questa multiinutility, dovrebbe essere retribuita e non tassata. 
 L'ingordigia di questi signori (alimentata, come detto, da un sostanziale disco verde di questa amministrazione grillina, al di là delle inutili foglie di fico di preannunciati cortei sempre più fini a se stessi), però, non ha limiti e e travalica anche il più comune senso del pudore. Adesso vogliono ammorbare i nostri polmoni, quelli dei nostri bambini e dei nostri anziani con un supplemento di inquinanti, anche cancerogeni, provenienti dal rudo prodotto fuori dai nostri confini. E i parmigiani, questa volta devono opporre un no senza se e senza ma.
E se le carte da bollo chegli avvocati De Angelis e Allegri non sortiranno anche questa volta alcun effetto, stante la complicità di Tribunali sempre più compromessi e asserviti ai desiderata dei poteri forti, i cittadini dovranno fare da soli, ricorrendo al legittimo strumento della legittima difesa. Uno strumento non ancora abrogato in questa Repubblica delle Banane che dalle leggi ad personam di Berlusconi, a quelle ridicole sugli appalti, fino all'ultima "Sblocca Italia" ha saputo produrre solo normative per alimentare la corruzione nella pubblica amministrazione.
Se ancora una volta leggi e i tribunali daranno ragione a lor signori (e ai loro sodali del Pd), la risposta dei cittadini alla prepotenza istituzionale  dovrà esprimersi nel boicottaggio di Iren, una società sostanzialmente privata che miete utili sulla pelle della gente.    Voce 30.06.15              

E POI MATTEO INVENTO’ L’ITALICUM CORRETTO AL “PARMELLUM” PER FAR FUORI BERLUSCONI


   Assetato di vittorie elettorali dopo l'ubriacatura delle elezioni europee che tutto il mondo sa, comprese le ultime repubbliche delle banane, che è riuscito a vincere col 40 per cento dei voti comprando 10 milioni di elettori con la fantastica "trovata" dei famosi 80 euro, il nuovo fenomeno (da baraccone) della politica italiana Matteo Renzi, entrò in conclave al Nazareno con il piduista Berlusconi (suo padre putativo) e dalla loro congiunzione nacque  l'Italicum, la nuova legge elettorale studiata ad hoc per far fuori Beppe Grillo che in quel momento il ducetto fiorentino riteneva l'avversario più pericoloso per la (sua) democrazia.
Una legge elettorale che, mantenendo tutte le porcate del "porcellum", dichiarato fuori legge dalla Corte Costituzionale, permetteva ancora ai capi partito di nominare i deputati di questa repubblica bananifica da quinto mondo, introducendo però il doppio turno di coalizione per decidere chi doveva governare. Inutile dire che lo spauracchio dei grillini, risultato il primo partito italiano col 25 per cento alle ultime elezioni politiche ("quasi vinte" da Bersani), veniva esorcizzato perché ad un ipotetico ballottaggio sarebbero andati il cosiddetto centro destra (dai neo fascisti di Casa Pound ai berlusconiani, compresi i neo entrati e i fuoriusciti, con epicentro nella Lega dell'astro nascente Salvini) e il sedicente centro sinistra unificato nel Pd prenditutto di Renzi.
Come sapete, cari lettori, in questo Stato truffaldino, governato da nominati corrotti che non trovano i soldi per pagare le pensioni da fame ma che li trovano, eccome, per darsi stipendi da nababbi, privilegi da signorotti medievali   e per comprare  bombardieri che non si sa chi dovrebbero andare a bombardare o per costruire inutili gallerie sotto le Alpi, ogni politicante che riesce a prendere il potere la prima cosa che lo preoccupa è quella di escogitare una legge elettorale a sua immagine e somiglianza che possa assicurargli per l'eternità quella poltrona sulla quale è riuscito a mettere il deretano.
Ebbene sono talmente stupidi, questi nostri politicanti che della furbizia fanno la principale arma del potere, che finora si sono sempre fatti delle leggi elettorali, dal mattarellum al porcellum, che poi sono risultate vincenti sì, ma per gli avversari.
Il problema, però, è che il giochino ora si è complicato per il fatto che non vi sono più solo due coalizioni a fronteggiarsi, le sedicenti destrorsa e sinistrorsa. Due facce comunque della stessa medaglia  fittiziamente contrapposte ed artatamente alimentate dai mezzi di disnformazione di massa (anch'essi parte integrante del medesimo sistema di acquisizione del consenso elettorale) per dare continuità a quella contrapposizione politica che piace tanto agli italici ma che non ha più alcun senso in un mondo globalizzato dominato dai burattinai dell'economia e dalla finanza, dove i politici sono relegati al ruolo di burattini ies man ai quali i primi (i burattinai) concedono solo l'ebbrezza di ingrassare coi soldi pubblici.
Ora, però, con quel 25 per cento conquistato da Beppe Grillo alle ultime elezioni senza aver comprato un solo voto con il denaro dei cittadini, le cose si sono tremendamente complicate sia per i burattinai, sia per i burattini. E questo perché se era difficile prima  ritagliarsi addosso una legge elettorale in un sistema bipolare, ora è diventato praticamente impossibile in questo sistema tripolare.
E questo ancora di più perché il terzo polo, quello grillino, è fuori dal sistema. Vuole distruggere  - e lo proclama apertamente - quel sistema creato nel dopoguerra sulle ceneri del fascismo e degenereato con gli anni in questa repubblica bananifica dei mangia mangia, dove la cosa pubblica è diventata terreno di conquista di corrotti, corruttori, mafiosi, e associazioni massoniche o pseudo religiose come Comunione e Liberazione che dietro il paravento evangelico mietono affari sulla pelle della povera gente e degli ultimi della terra.  
Il problema per Renzi - politico creato dal nulla e messo lì a governare dai poteri forti proprio per cercare di eliminare il terzo polo anti sistema di Beppe Grillo (così come Berlusconi fu creato dal nulla, al medesimo scopo di eliminare o, quanto meno, assorbire il pericolo anti sistema allora impersonato dalla Lega di Umberto Bossi) - è quello di estirpare la presenza dei grillini che stanno invadendo i consessi istituzionali seminando il germe nefasto della restituzione dei soldi ai cittadini. Un messaggio rivoluzionario e a breve termine dirompente, elettoralmente disastroso per chi spregiudicatamente usa i soldi dei cittadini anche per comprare il consenso elettorale.
In questo penoso quadro politico e istituzionale non ho compreso, cari lettori, l'ultima mossa strategica del ducetto nascente Matteo Renzi. Non ho capito quando ha detto "stai sereno Silvio" e poi lo ha inchiappettato col sistema Letta, apportando alla nuova legge elettorale quella modifica che taglia fuori la sua coalizione da un ipotetico ballottaggio, aprendolo alle singole liste, cioè al Movimento 5 Stelle di Grillo che del rifiuto delle alleanze ha sempre fatto un proprio cavallo di battaglia.
Una modifica che ha suscitato l'ira di Berlusconi e fatto saltare il "patto del Nazareno" (nessuno può credere alla favola che il motivo della rottura di quella nefasta alleanza sia stato l'elezione di Mattarella alla presidenza della Repubblica) perché ovviamente sarà impossibile per il polo destrorso mettere insieme un listone con alla testa l'astro nascente Salvini che possa competere con il Pd  anche nella Italia meridionale.
Via libera, dunque al ballottaggio del Pd contro Grillo con questo Italicum corretto al Parmellum, cioè esattamente con quel sistema che ha catapultato i grillini di Parma a vincere le elezioni comunali tre anni fa fra lu stupore generale.  23.06.15          

IL “SISTEMA PARMA” DEGLI APPALTI TRUCCATI CLONATO IN SICILIA PER SPECULARE SUGLI ULTIMI DELLA TERRA



Non risultando indagato, almeno per il momento, alcun pezzo grosso della Pizzarotti nella mega inchiesta denominata "Mafia Capitale", partita da Roma e arrivata come uno tsunani a lambire la costa sicula, travolgendo il villaggio Vip "Cara Mineo" che  il  colosso del cemento parmigiano aveva messo a disposizione nel 2011 del drammatico sbarco di disperati in fuga dalle guerre e dalla fame, con una generosità e abnegazione che avevano commosso l'Europa e intenerito il cuore addirittura  del leghista duro e puro Roberto Maroni, fino a  quel momento  terribile ministro dell'interno fautore del respingimento anche a costo di sparare sui barconi, devo immaginare che il dottor Paolo, patron della samaritana ditta, sia baciato da una fortuna invidiata da chiunque partecipi a un appalto: quella di vincere gare  grossolanamente truccate a suo favore, senza che lui lo sappia.
Proprio come accadeva all'ex ministro ligure Claudio Scajola che aveva avuto il culo di vedersi pagare a sua insaputa un immobile romano con vista sul Colosseo.
Sono eventi che accadono solo nelle migliori famiglie, non certo ai barboni che vivono sotto i ponti.
E non è nemmeno la prima volta che il dottor Paolo Pizzarotti riceve importanti doni senza saperlo. Lui stesso (lo mise nero su bianco in un verbale di interrogatorio del Pm fiorentino dottor Pietro Suchan), dichiarò di non avere saputo che l'allora sostituto procuratore Francesco Saverio Brancaccio e l'allora Gip Vittorio Zanichelli avevano emesso un ordine di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti per un appalto dell'Università (evidentemente ritenuto poco ortodosso), e che quel provvedimento restrittivo della sua libertà personale non era mai stato eseguito perché revocato immediatamente dopo essere stato emesso dai due solerti magistrati del Tribunale di Parma. Una storia fantozziana o, meglio ancora, alla Totò che non potevano certo raccontare ai nipotini, invece, due suoi coimputati (due "disgraziati" tecnici che secondo l'ipotesi accusatoria avevano partecipato a truccare la gara) prelevati dai carabinieri quell'estate, uno mentre era in vacanza al mare e l'altro in montagna e cacciati in galera senza tanti se e tantti  ma.
Al Pizzarotti, quindi, non solo fu evitato l'ingresso nel carcere di via Burla che ben conosceva perché la sua ditta lo aveva appena costruito, ma anche l'imperdonabile (aggravato da una vera e propria lesa maestà) affronto di avere emesso nei suoi confronti, e senza il suo consenso, quell'ordine di cattura. Imperdonabile ancor più perché a richiederlo era stato il Brancaccio, suo compagno di merenda (nel vero senso della parola) visto che si recava al pomeriggio a giocare a pallone nella sua tenuta di campagna ad Ozano Taro. E a firmare e poi a revocare immediatamente dopo quell'ordine di custodia cautelare era stato il giudice Zanichelli, suo compagno di studi e, secondo una nota interrogazione parlamentare, anche lui saltuariamente impegnato in partitelle cameratesche in quel campetto da calcio sulla riva del Taro. Un uomo fortunato, quindi, il Pizzarotti, perché non capita a tutti di essere giudicati per presunti gravi reati contro la Pubblica Amministrazione da un paio di soggetti che sarebbero stati poi presi da inconfessabili sensi di colpa se avessero sbattuto in gattabuia l'amico di tante avventure.
Tornando alla "mafia capitale" e a qull'appalto taroccato vinto da una associazione di imprese della quale faceva parte anche la Pizzarotti, a pensarci bene mi viene però il dubbio cheil re dei palazzinari di Parma non sia poi stato tenuto completamente all'oscuro da quella schifezza di gara confezionata sulla pelle degli ultimi della terra per far vincere anche lui l'appalto. Qualcosa, a pensarci bene, secondo me, doveva sapere. Non foss'altro perché quella nefandezza d'appalto - ora commissariato dal dottor Cantone dell'Autorità preposta a contrastare la dilagante corruzione negli appalti pubblici - somiglia tremendamente all'appalto della Tangenziale Sud di Parma.Le analogie sono impressionanti. L'unica differenza sta nel fatto che nel caso dell'appalto pilotato della Tangenziale Sud di Parma la Pizzarotti era capofila di una cordata di imprese bianco-rosa (democristiane e socialiste) e cooperative rosse (comuniste), mentre in questo del Cara Mineo si trova in posizine più defilata, facendo parte di una associazione di imprese, consorzi e cooperative di variegati colori e confessioni religiose (Comunione e Liberazione in prima fila) nella quale non appariva come la capocordata.
Speculare, invece, il sistema usato per far vincere i predestinati: confezionare dei bandi su misura per i vincitori. Nel caso della Tangenziale Sud fu l'assessore Brenno Begani a raccontarlo  al Pm Brancaccio (sempre lui, amico di Pizzarotti) e al giudice Zanichelli (sempre lui, l'amico di Pizzarotti) nel processo farsa che finì con una sentenza farsa (prescrizione per tutti gli imputati):
"Prima di affrontare la stesura del bando", raccontò Begani "decidemmo in Giunta di riunire in due stralci di lavori in modo da  porre delle griglie di partecipazione molto alte eliminando conseguentemente la partecipazione come capigruppo di imprese medio piccole. Una scelta ben precisa perché così facendo restringevamola partecipazione in Parma a due o tre imprese. Poiché due di queste, e cioè la Bonatti e l'Incisa erano rivolte, all'epoca, più al mercato esterno, praticamente in Parma l'unica ad avere i numeri richiesti dal bando era la Pizzarotti".
Giù in Sicilia, invece a cantare è stato Buzzi che, interrogato dal Pm Cascini, titolare della grande inchiesta su Mafia Capitale che sta facendo tremare il Campidoglio, dice:
 "Io sono un povero disgraziato, non so le cose direttamente su Mineo. A me questa storia l' ha raccontata Luca Odevaine. So che il Consorzio indice la gara e credo che il sottosegretario Castiglione sia fortemente interessato a questa cosa, e fa si che la gara venga aggiudicata, almeno così, venga, insomma, indicato chi è il soggetto che dovesse vincerla nel 2012. Doveva vincerla un'Ati, questa Ati che c'era, che era costituita tra chi faceva i servizi di accoglienza, tra chi faceva i servizi di ristorazione, tra Pizzarotti che manteneva l'immobile. Poi nel 2014, la gara viene bandita nuovamente perché era scaduta la prima e la gara è stata riaggiudicata con un bando sartoriale... perché se tu mi prevedi un bando che doveva avere il centro cottura a 20 km, e ce l'ho solo io il centro cottura a 20 km, solo io posso partecipare. Nessuno potè partecipare, questo è quello che mi ha raccontato Odevaine. E' la gara da 150 milioni di euro, eh!".
Dalle "griglie" parmigiane al bando "sartoriale" catanese il passo è breve e  assomiglia in modo impressionante ad un sistema collaudato e blindato per pilotare le gare d'appalto che a Parma ebbe un felice epilogo giudiziario soprattutto perché uno dei principali imputati, il Pizzarotti,  veniva ancora una volta giudicato dai suoi due amici con la toga e soprattutto perché altri due possibili protagonisti di quella gara fraudolenta, il sindaco Grossi e il vice sindaco Ubaldi, nemmeno figuravano fra gli imputati: veniva fatto tutto a loro insaputa. Le retate di Tangentopoli erano ancora da venire e i panni sporchi anziché in Tribunale si lavavano in famiglia. Voce 16.06.2015     
        

DOPO QUELLA DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE, ANCHE LA “SPINTA PROPULSIVA” DEGLI 80 EURO E’ ESAURITA



 Questa settimana, cari lettori, devo ringraziare Luca Zaia e Giovanni Toti, anche se non  mi stanno particolarmente simpatici (soprattutto il secondo), per avere fatto tacere per almeno 24 ore, dalla tarda serata di domenica 31 maggio a  tutto lo scorso lunedì primo giugno, il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Era ormai più di un anno che ciò non accadeva: niente twitterate, niente autoscatti con battute idiote, niente slogan, niente battute contro i gufi. Niente di niente. Dopo ore e ore durante le quali eravamo tutti preoccupati per non vederlo apparire in tv, i telegiornali hanno cominciato a diffondere le sue immagini in tuta mimetica, mentre arringava in Afganistan i soldati italiani chiedendo loro di resistere ancora qualche mese senza farsi sgozzare,  in attesa che gli americani diano loro il permesso di tornare a casa.
Nemmeno una parola su quanto accaduto in patria al suo Pd de 40 per cento nelle elezioni del giorno prima. Come se nulla fosse successo, come se non avesse preso una memorabile sberla elettorale.
Grazie a Zaia e Toti mi è tornato alla mente quel  15 dicembre 1981, quando Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano (nulla da spartire, ovviamente, con il ciarlatano ex sindaco di Firenze), dopo il golpe militare di Jaruselsky in Polonia, dichiarò "esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre".
Domenica scorsa, 31 maggio 2015 si è consumato il secondo storico esaurimento: la spinta propulsiva degli 80 eurro renziani si fortunatamente esaurita.
Ricordate, cari lettori, la filastrocca di questi 80 euro, ripetuta fino alla nausea dal "circo magico" che ruota attorno Matteo Renzi negli ultimi giorni che lo scorso anno hanno preceduto le elezioni europee? Ricordate quando i pappagalli, e soprattutto le pappagalle renziane, fottevano dentro questi 80 euro in tutti i discorsi e in tutte le salse di quella campagna elettorale? Ricordate quando la strafiga Alessandra Moretti, fortunatamente stratrombata domenica scorsa  dal leghista Luca Zaia  alle elezioni regionali venete, rispondeva sempre ripetendo come un automa con gli 80 euro a qualsiasi domanda su qualsiasi argomento posta dai sedicenti giornalisti, anch'essi  addomesticati, nei vari  talk show? "Onorevole Moretti, qual è il vostro programma sulla scuola?" E lei:"gli 80 euro al mese che Matteo mette nelle tasche degli italiani...". E poi ancora: "oggi piove o c'è il sole?" E lei: "difficile dirlo, quello che è sicuro è che gli 80 euro che il premier Renzi fa arrivare nelle tasche di dieci milioni di italiani permetteranno di comprare l'ombrello sia per ripararsi dal sole che dalla pioggia".
E via di seguito, tutti i giorni a tutte le ore, da parte di tutta la propaganda renziana. Un vero e proprio mafioso voto di scambio che portò il Pd del rampante Matteo Renzi a superare il 40 per cento in quelle elezioni. Con la conseguenza che da quel giorno fino a domenica scorsa i pappagalli e, soprattutto, le pappagalle renziane, hanno cominciato a sostituire - anche in questo caso fino alla nausea - quegli 80 euro col 40 per cento.
In ogni occasione e in ogni salsa: "Un partito come il Pd del 40 per cento..."; "Il 40 per cento preso da Renzi alle elezioni...";"Abbiamo raddoppiato, col nostro 40 per cento i voti grillini, destinati ormai a scomparire...".
E via discorrendo, sempre, ossessivamente, in tutti i tg e in tutte le apparizioni televisive del mattino del pomeriggio, della sera e della notte.
Adesso, dopo la batosta elettorale di domenica scorsa che ridimensiona il Pd dell'aspirante dittatore fiorentino a livello bersaniano, a poche lunghezze dai Cinque Stelle grillini (non solo non scomparsi, ma alla loro più importante affermazione nelle elezioni amministrative, confermandosi il secondo partito italiano), quanto meno lo slogan del 40 per cento da mettere in bocca ai pappagalli e alle pappagalle renziane dovra essere rivisto.
Al suo posto è cominciato, ma è durato poco e con poca convinzione, per la verità, quello, quasi comico, del 5 contro 2. Cioè delle cinque vittorie del centro sinistra, contro le due del centro destra.
Anche al senatore Giorgio Pagliari, completamente appiattitosi sulle ciarlanate renziane da quando è sbarcato a Roma, questa vittoria del 5 a 2 deve essere sembrata una barzelletta, visto che ha riconosciuto che il voto delle  ultime regionali deve fare riflettere il Pd. E il Pd deve riflettere soprattutto a Parma dove, sia pure di fronte ad un a destra allo sbando e a un movimento  5 Stelle scomunicato e inesistente, è riuscito inesistente è uscito dalle elezioni con le ossa ancor più rotte del partito nel resto d'Italia.  Voce 09.06.15    
          

SUDDITI DI UNO STATO TRUFFALDINO


  Adesso che ai vertici della piramide, lassù in quel di Roma, è salito un ragazzotto fiorentino che, tre giorni prima di inchiappettare il suo predecessore compagno di partito, portandogli letteralmente via la poltrona da sotto il culo,  gli ha giurato fedeltà e collaborazione, rassicurandolo con quell "Enrico, stai sereno" che fra galantuomini sarebbe valso  più di un rogito, non si può certo pretendere che le altre cariche istituzioni - da quelle centrali a quelle periferiche - siano praticate da politici e amministratori onesti, che mantengono la parola data. Li sentiamo tutti, prima di incollarsi alle chiappe la  poltrona, giurare e stragiurare che l'unico scopo della loro esistenza, da quel momento lì in avanti,  sarà il "bene dei cittadini". Cioè il bene nostro, cari lettori.
Non ne ho mai sentito uno di queslla specie, porca miseria, dire con sincerità: "se riesco a mettere il deretano su quella poltrona pubblica, pagata con le vostre tasse, penserò solo ai cazzi miei, mi occuperò degli interessi della mia famiglia, del mio partito, procurerò un posto e uno stipendio ai miei amici e alle mie troie". Mai neanche uno.
Tre anni fa, lo ricordo bene, dopo essermi tappato il naso andai in piazza Ghiaia a sentire il segretario Pd Bersani nel suo comizio anti Grillo in appoggio al candidato sindaco sinistrorso (si fa per dire) Bernazzoli. Fra tutte le promesse fatte me ne è rimasta impressa una: siccome Beppe Grillo tuonava contro i vergognosi privilegi della casta degli onorevoli, lui promise che, appena arrivato al governo, avrebbe dimezzato gli stipendi dei parlamentari, oltre ad abolire, ovviamente, tutto il pacchetto degli schifosi privilegi medievali. Parlava non a titolo personale, ovviamente, ma a nome del suo partito, di cui, come detto, era il numero uno. Ora che il suo partito governa grazie a un parlamento di nominati (anche da lui) grazie alla puzzolenta ed anticostituzionale legge elettorale del porcellum, lui, parlamentare nominato, continua a prendere lo stesso stipendio di prima, come tutti gli altri onorevoli, eccetto i grillini che gli emolumenti se li riducono davvero.
Per assicurarsi il potere i politici italiani raccontano qualsiasi balla, anche la più impossibile da credere. E per mantenersi i loro privilegi e i loro stipendi da nababbi mentre il popolo soffre spaventose crisi di astinenza (dalle necessità primarie) non si fanno nemmeno scrupolo di rubare dalle tasche dei cittadini anche quel poco che rimane loro per cercare di sbarcare il lunario e arrivare alla fine del mese.
Per garantirsi la pancia piena e stragonfiare i conti in banca, mettono le mani anche sulle pensioni, questi onorevoli nominati, con leggi non solo fuori dal buon senso, ma anche dalla Costituzione.
La Costituzione,  anche ai tempi democristiani della prima e seconda repubblica, era intoccabile. Ora, nell'era di questi onorevoli rapaci , anche della Costituzione e della Corte Costituzionale se ne infischiano. In qualsiasi altra parte del mondo, anche nelle repubbliche delle banane più corrotte, di fronte ad una pronuncia di incostituzionalità della legge con la quale un parlamento era stato eletto, avrebbe procurato l'immediato scioglimento di quel consesso di usurpatori. In Italia sono ancora tutti lì e sono loro, questi politicanti col pelo sullo stomaco, che addirittura stanno rifacendo la Costituzione nata sul sangue versato dai nostri padri che hanno combattuto la dittatura nazifascista.
E le sentenze della Corte Costituzionale valgono solo quando ripristinano dei privilegi di lor signori. L'Inps, qualche anno fa, ha  rimborsato i tagli operati sugli stipendi d'oro degli statali un minuto dopo la dichiarazione di incostituzionalità della legge che li aveva disposti, ma se ne infischia quando i tagli incostituzionali colpiscono le pensioni, anche le più basse.
Ma ecco, per arrivare al nostro argomento di copertina di questa settimana, la vergogna delle vergogne. La multiutility Iren, quella che ha costruito l'inceneritore dopo avere garantito, in cambio delle pestilenze, anche cancerogene, sputate fuori dal camino di quel mostro, una riduzione delle bollette (salute barattata con dei soldi) e dopo avere assicurato che il rudo bruciato sarebbe stato solo quello prodotto da noi, ora non solo non ha diminuito le bollette della raccolta rifiuti, ma le aumenterà e, grazie a nuove normative introdotte dal quel bagolone contrafrottole che rasserenò il povero Enrico,  cerca anche di ammorbare l'aria che respiriamo con i rifiuti arrivati a Parma da tutta Italia.
E poi, vergogna nella vergogna, questa "multidanny", rifiuta anche di rimborsare gli utenti parmigiani derubati per decenni con le bollette "gonfiate" con l'Iva sulla tassa dei rifiuti. Anche questo un balzello dichiarato incostituzionale, ma di costituzionale per i nostri politici e amministratori  famelici ci sono rimasti solo le loro fauci, le loro mascelle e  i loro capienti stomaci.  
2 giugno 2015      


QUANDO IL SINDACO ERA “NOSTALGICO” E STRAVEDEVA PER IL LUNGOPARMA

                Quello che mi preoccupa di più, cari lettori, riguardo al destino della Parma romana riemersa dopo duemila anni a seguito degli scavi nell'area dell'Oltretorrente dove sorgeva il palazzo dell'Anagrafe da parte della associazione di imprese Pizzarotti - Soparco che su quel terreno intendono edificare dei palazzi, è l'assordante silenzio del sindaco Federico Pizzarotti.
Lo abbiamo visto apparire dappertutto e sentito intervenire su tutto. Molte volte a sproposito, come quando ha accreditato, unitamente ai vertici dell'Unione Parmense Industriali, pluriergastolani e faccendieri nella tragicomica vicenda della vendita del Parma Calcio da parte del fuggiasco Ghirardi. O come quando, mentre chiudeva asili e riduceva sussidi ai disabili, prometteva decine di migliaia di euro, sempre in sintonia con lor signori, per tenere in vita un aeroporto che ha già succhiato nei decenni passati somme ingenti al Comune e alla Provincia di Parma.
Sulla sorte della riemersione della città romana, invece, nemmeno una parola. Il disinteresse del primo cittadino pare essere totale. E ciò nonostante abbia manifestato, in passato, una forte avversione verso quei palazzacci  che deturperebbero per sempre lo scorcio del Lungoparma.
Pare essere passato un secolo, non soli tre anni, quando Pizzarotti aspirante sindaco, in campagna elettorale si scagliava contro i palazzoni dell'omonimo costruttore con queste poco lungimiranti parole: "Forse saremo rimasti fra i pochi nostalgici ma pensiamo che lo scorcio del Lungoparma sia uno dei più belli d'Italia, paragonabile forse a quelli di Firenze e Verona. Non ce ne vogliano gli architetti, ma dopo aver visto il rendering dei nuovi edifici che sorgeranno nell'area dell'ex anagrafe, edifici alti 14 metri di 3 piani con attico, non possiamo che parlare dell'ennesimo scempio paesaggistico di Parma, ancora peggiore perché perpetrato  ai danni del centro storico. Ennesimo perché già ora è sufficiente fermarsi sul Lungoparma all'altezza della Nuova Ghiaia e osservare gli edifici storici che si affacciano sull'ex parcheggio dall'altra parte del torrente su cui dovrebbero sorgere i nuovi palazzi. In quella zona, per rispetto dell'armonia architettonica degli edifici esistenti, non si dovrebbe costruire nulla".
E pensare che Federico Pizzarotti, quando esprimeva questi sacrosanti concetti, non sapeva ancora che per costruire quegli obbrobriosi e squallidi palazzi che deturperanno per sempre quello scorcio del Lungoparma che riteneva uno dei più belli d'Italia, si dovranno sacrificare anche le antiche vestigia della Parma Romana riemersa due anni dopo quelle sue esternazioni.
E ora che lo sa, ora che potrebbe condizionare pesantemente la Sopraintendenza nel vietare uno scempio che non è più solo ambientale, ma anche storico e artistico, non ha più niente da dire. Ora che, grazie anche a quelle promesse di far voltar pagina a questa città, è divenuto sindaco di Parma, su questo argomento ha perso la prolifica favella. E non si pone più certe "scabrose" domande che invece, in quel tempo preelettorale lo affliggevano. Così, infatti, proseguiva il suo sermone contro i palazzacci con vista sul torrente: "Ci domandiamo come sia possibile che la Soprintendenza possa permettere la costruzione di questa ennesima colata di cemento e vetro che ha come unico scopo quello di sfruttare al massimo lo spazio per massimizzare i guadagni, rovinando per sempre il più famoso scorcio di Parma...".
Se lo domandava allora, ma ora non più. Proprio adesso che quelle sue domande dovrebbero affliggerlo ancor più visto che ora quello scempio non sarebbe più solo ambientale, ma anche storico e archeologico.
 Voce 26.05.15
   

UN MOSTRUOSO ABBRACCIO MORTALE

  Nel momento in cui Ferdinando Carretta torna definitivamente  libero, dopo quasi otto anni di internamento nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere e altri nove in libertà vigilata in una comunità nei pressi di Forlì (provvedimenti conseguenti alla sentenza emessa il 15 novembre 1999 dalla Corte d'Assise di Parma che lo ha ritenuto autore della uccisione il 4 agosto 1989 del padre, della madre e del fratello, assolvendolo, però, perché incapace di intendere e di volere), ripropongo il mio articolo, pubblicato sul Giornale di Parma il 10 novembre 1999, dopo la prima udienze del processo. Articolo che costrinse il presidente della Corte d'Assise Piscopo a chiamare a testimoniare Giuseppe  Zavaroni, incredibilmente escluso dal Pm Brancaccio dalla lista dei testi poiché rappresentava l'unico ostacolo alla "verità" che si voleva rappresentare con quella inverosimile pagliacciata tele - giudiziaria. Dopo oltre tre lustri mentre Ferdinando torna libero di godersi il frutto della strage (la sua riapparizione immediatamente prima di essere dichiarato "morto presunto" e la sua strategia processuale finalizzata alla assoluzione per incapacità di intendere e di volere fanno pensare che tutto fosse, tranne che matto), cioè l'eredità dei suoi familiari assassinati, rimangono tutti gli interrogativi. Primo fra tutti: dove sono i tre cadaveri visto che almeno quella di averli sepolti nella discarica di Viarolo era una balla? Perché,  dopo aver tolto loro la vita, vuole negare ad essi anche una cristiana sepoltura?  
  Incredibile. Assurdo. Allucinante. Sconvolgente. In tribunale, a Parma, nell’aula delle udienze penali, avanti a due magistrati togati e a sei giudici popolari, è stata allestita una delle rappresentazioni giudiziarie più mostruose mai viste in Italia. Una mostruosa messa in scena che non prevede, però, la esibizione del “mostro”, inventato e creato un anno fa e ora tenuto prudentemente nascosto, forse per evitare che possa difendersi e cercare di liberarsi da quella gabbia infernale che gli hanno costruito addosso.
Sto parlando, naturalmente, del dibattimento in corte d’assise  a carico di Ferdinando Carretta, accusato del triplice omicidio premeditato del padre, della madre e del fratello. Un processo che esprime una abnormità giuridica mai vista prima. La difesa (un avvocato romano che si sussurra sia pagato dalla Rai) e la pubblica accusa incredibilmente abbracciati nella stessa strategia processuale: cercare di far credere alla giuria popolare che Ferdinando è “il mostro”. Che è stato lui, senza ombra di dubbio, a sterminare la sua famiglia. Con un’arma, poco più che un giocattolo, che, ha dichiarato in aula l’armaiolo che l’ha venduta, non aveva nemmeno la potenza necessaria per forare un cappotto. Per loro, accusa e difesa congiunte, è certo che Ferdinando ha fatto questo massacro. Egli, però, è colpevole ma non punibile perché è un folle incapace di intendere e di volere.
Vi saranno delle prove schiaccianti che inchiodano Ferdinando a questo ruolo di “mostro” per suggerire una strategia difensiva così al limite del suicidio, penserete voi. No, nemmeno una prova. Non ne hanno trovato nemmeno una. “Senza la sua confessione”, ha ammesso l’avvocato difensore Dinacci nel corso della prima udienza, “questo processo non si sarebbe nemmeno celebrato, perché vi è una strage che non è basata su nulla, non essendo stati trovati né i cadaveri, né l’arma del delitto, né il movente”. Anzi, il movente c’è, ha spiegato l’avvocato romano, e va ricercato nella follia di Ferdinando Carretta. Una tesi folle, a sua volta, aberrante, se consideriamo che viene  teorizzata da un avvocato che anziché perseguire una assoluzione piena per l’imputato Ferdinando, sta cercando di aprirgli invece le porte del manicomio giudiziario per una decina di anni.
Ma dove sono andate a finire tutte quelle prove sbandierate dal maresciallo Manoli, dal pubblico ministero  dottor Brancaccio e dalla Gazzetta di Parma? Tutte quelle “prove” che avevano spinto il direttore del giornale degli industriali ad affermare categoricamente il 30 novembre 1998: “Ferdinandoè un assassino”. Dove sono andate a finire? E tutte quelle altre che ogni giorno lo stesso quotidiano tirava fuori dalla discarica di Viarolo, dove l’unica cosa certa era invece che si sotterravano centinaia di milioni di lire del contribuente?
E vi ricordate la buffonata di quella gocciolina di sangue misto che Gazzetta e company avevano sbandierato come madre di tutte le prove perché addirittura in essa era confluito il dna di tutti gli assassinati? Adesso che siamo al dunque, davanti a una giuria popolare, di tutta questa pagliacciata non è rimasto nulla. Niente di niente.
La cosa più incredibile, però, è che dopo essersi reso conto che la pubblica accusa non ha nulla in mano per attribuire una strage a Ferdinando, l’avvocato difensore del Carretta, anziché fregarsi le mani e approfittare di questa situazione che porterebbe dritto dritto il suo assistito ad una assoluzione piena, per non aver commesso il fatto, continua ad andare avanti sulla strada già tracciata. E si unisce al Pm Brancaccio nel sostenere un teorema accusatorio che fa acqua da tutte le parti, limitandosi a chiedere la non punibilità del “mostro” per incapacità di intendere e di volere al momento del confessato famiglicidio.
L’avvocato difensore non ha dubbi. Proprio come Brancaccio è sicuro che Ferdinando è quel mostro che ha sterminato la sua famiglia. E’ un mostro perché ha confessato di esserlo. Una confessione tanto più sicura perché è stata trasmessa in diretta televisiva. Perché mai si dovrebbe rimettere in discussione ora quell’agghiacciante documento filmato? Nei confronti di una “verità” televisiva, cosa possono valere i principi giuridici vigenti in tutti gli stati di diritto dopo l’abolizione della Santa Inquisizione che affermano solennemente che le auto accuse non valgono una cicca se non supportate da riscontri oggettivi?
Sarebbe proprio un gioco da ragazzi smontarla pezzo per pezzo quella confessione. Ci riuscirebbe un qualsiasi avvocatucolo anche di primo pelo. Ma invece deve essere tenuta ferma, immutabile. E’ l’unica prova che ha in mano la pubblica accusa, è la ragion d’essere di questo processo. Non si ritiene necessario nemmeno chiamare Ferdinando in aula a ripeterla, parola per parola, davanti ai suoi giudici. Si teme forse che non se la ricordi più? O si teme forse che gli torni in mente la sua prima versione dei fatti, quella raccontata agli inquirenti a Londra, nel primo interrogatorio? Quando disse che lui è i suoi famigliari erano partiti col camper tutti insieme e che erano stati prima in Liguria e poi a Milano dove, dopo avere abbandonato il mezzo, in treno si erano recati in Svizzera per poi raggiungere, sempre tutti insieme e tutti vivi Londra? Si teme questo forse? Che torni a raccontare la verità? Una verità che, per di più, trova un impressionante riscontro nelle clamorose dichiarazioni al nostro giornale di Giuseppe Zavaroni, il quale è pronto a giurare davanti alla Corte d’Assise di avere ospitato l’intera famiglia Carretta nel suo ristorante di Sarzana, in Liguria, quindi, la prima domenica di agosto, quando cioè la strage era stata già consumata.
E’ pronto a giurarlo in corte d’assise Giuseppe Zavaroni, lo ha detto anche alla polizia. Ma non può farlo perché nessuno ha pensato di convocarlo.
Perché mai turbare l’idilliaca strategia dell’accusa e della difesa, avvinghiate nel loro amplesso contro natura, con questo supertestimone che mette in crisi la confessione di Ferdinando, cioè la “madre di tutte le prove” di questo processo?
19 maggio 2015